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Il motoscafo di Lapo Elkann ispirato alla MAS: quando la storia diventa marketing

L’attenzione suscitata dal varo di Lap1, ossia il motoscafo Mav13 acquistato dal rampollo degli Agnelli e pubblicizzato come discendente diportistico dei natanti della flottiglia Decima MAS, è un caso emblematico di uso pubblico della storia che ha l’obiettivo di mutare in fattore identitario una banale strategia commerciale.
A cura di Marcello Ravveduto
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Il morale dell’esercito, dopo la rotta di Caporetto (24 ottobre 1917), è finito sotto il fango delle trincee; basso, bassissimo più che depresso. Poi arriva la vittoriosa incursione su Trieste (dicembre 1917), con l’affondamento della corazzata Wien e il danneggiamento della Budapest, seguito dall’azione di guastamento nella Baia di Buccari, nella notte tra il 10 e l’11 febbraio del 1918.

Entrambe le operazioni sono portate a termine da alcuni esemplari di Motobarca Armata Silurante, più comunemente conosciuti come MAS. Già progettati per la Regia Marina nel 1906, sono concretamente fabbricati a partire dall’aprile 1915, in vista dell’imminente entrata in guerra. Il primo produttore fu il cantiere SVAN (Società Veneziana Automobili Navali). Successivamente i natanti furono prodotti anche da altre società, come l'Isotta Fraschini e la FIAT. Forse per questo Lapo Elkann ha voluto “ardentemente” possedere il primo modello del Mav13, presentato come il pronipote diportistico dell’imbarcazione da combattimento che ha caratterizzato alcune vicende eroiche della Grande guerra.

Ma torniamo alla baia di Buccari. Le unità designate all'operazione sono il MAS 94 (condotto dal sottotenente di vascello Andrea Ferrarini), il MAS 95 (assegnato al tenente di vascello Profeta De Santis), e il MAS 96 (guidato dal capitano di corvetta Luigi Rizzo) con a bordo il comandante della missione, capitano di fregata Costanzo Ciano (padre di Galeazzo, futuro genero del duce), e Gabriele D'Annunzio. Alle ore ventidue del 10 febbraio i tre MAS si trasferiscono nella zona compresa tra l'isola di Cherso e la costa istriana dove, secondo le indicazioni dei servizi segreti, sono alla fonda unità nemiche mercantili e militari. Dopo un quarto d’ora sono nei pressi del punto d’ingaggio. Separatisi dai rimorchiatori, i tre motoscafi procedono verso la stretta della Farasina, senza essere scorti dal nemico. Giunti ad un miglio dalla costa, spengono i rumorosi motori a scoppio ed azionano quelli elettrici. Mezz’ora dopo la mezzanotte sono all'imboccatura della baia di Buccari e pronti a colpire gli obiettivi.

Passa un’altra ora prima che i siluri siano espulsi. Le tre imbarcazioni sganciano ognuna i due siluri in dotazione, colpendo tre piroscafi: solo uno dei sei ordigni esploderà a causa delle reti antisiluranti montate a protezione delle navi. Terminata la scorreria i MAS rientrano ad Ancona dove giungono alle sette e quarantacinque del mattino.

In attesa di entrare in azione D’Annunzio lega tre bottiglie, che richiamano i colori nazionali, sulle boe più prossime alla baia di Buccari. Al loro interno c’è un suo messaggio destinato agli austriaci: «In onta alla cautissima flotta occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia che si ridono di ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia». Sarà grazie a questo biglietto se l’operazione passerà alla storia come "beffa di Buccari". Il poeta di Pescara, per rendere imperituro l’ardimento dei «marinai», esigerà che l’acronimo MAS sia cambiato in “Memento Audere Semper” (ricordati di osare sempre).

È grazie alla retorica del vate se l'impresa di Buccari ottiene una vasta eco in Italia, in una fase della guerra in cui gli aspetti psicologici hanno acquistato un’importanza strategica per risollevare il morale dell'esercito impegnato sul Piave. Più che di un’azione militare si tratta di uno spot di propaganda, uno strumento di comunicazione di massa teso a rinvigorire lo spirito dei soldati e della popolazione, mutando in positiva la negativa percezione del conflitto.

Siamo all’esordio della «comunità immaginata» di Benedict Anderson. Secondo il filosofo irlandese la nazione non è un elemento naturale del vivere umano (razza e territorio), ma il prodotto di processi culturali e concettuali artificiali innescati dall'incessante generazione di simboli mitopoietici, dall'invenzione di tradizioni e dalla creazione di un immaginario collettivo unificante e di memorie condivise. Una "costruzione" nella quale assumono un ruolo fondante i mass media in grado di creare e plasmare un’audience inclusiva saldata da linguaggi, codici mediali, credenze ideologiche, stereotipi culturali, immaginari sociali, opinioni diffuse ed esperienze realizzate. Una secolarizzazione della società che rende gli uomini protagonisti della propria storia sottraendoli alla prospettiva di ancorare l'identità collettiva a un destino salvifico legato al disegno divino. Dunque il nazionalismo deriverebbe da questo sciame mediatico che evoca una serie di pratiche, simboli, valori, riti e celebrazioni in cui si riconosce una comunità a cui si è dato il nome di Stato-nazione.

In realtà la storia dei motoscafi da combattimento ha un seguito. Dopo una serie di alterne vicende la Flottiglia viene ricostituita con il nome di X (decima) MAS e integrata al reparto subacqueo il cui comando è affidato, il 1 maggio 1943, al capitano di fregata Junio Valerio Borghese (promotore nel 1970 di un Golpe fallimentare). Dopo l’armistizio dell’8 settembre il comandante, di stanza a La Spezia, decide di continuare a combattere al fianco dei tedeschi.

Il 14 settembre stipula un accordo con il Korvettenkapitän Max Berninghaus, comandante navale delle forze del Terzo Reich in Liguria, dal quale la Xª Flottiglia MAS è riconosciuta quale unità combattente con piena autonomia, sotto le insegne della Repubblica Sociale Italiana (RSI). A partire dal 1944 la Decima è impiegata anche in attività antipartigiane e rastrellamenti di civili, al fianco dei tedeschi, promuovendo azioni di rappresaglia, di saccheggio, ed esecuzioni sommarie nelle zone controllate dai resistenti.

Alla fine dello stesso anno, l’atteggiamento indisciplinato e violento di alcuni appartenenti al corpo destano l’allarme delle stesse autorità della RSI: il prefetto di Milano, Mario Bassi, invia una nota inviata a Mussolini si lamenta per "furti, rapine, provocazioni gravi, fermi, perquisizioni, contegni scorretti in pubblico" dei soldati inquadrati nella Decima. La deriva criminale diviene a tal punto causa di preoccupazione per la popolazione, soprattutto in virtù della sfacciata impunità, da spingere il funzionario repubblichino a chiederne l’allontanamento dalla città.

Sicuramente il varo del motoscafo Lap1 non è relazionabile a questa vicenda, anche perchè gran parte del clamore è anche dovuto all’eccentricità del personaggio, però è meglio fare un po’ di chiarezza per evitare che il marasma mediatico provochi una sovrapposizione di piani diversi. Il gruppo Fiat (o come si chiama ora), del resto, non è la prima volta che strumentalizza la storia italiana per sovrapporre il brand all’identità nazionale, solleticando l’immaginario collettivo.

Già nel 2007, come rileva Andrea Meccia, è stato realizzato uno spot in cui la nuova 500, auto simbolo del Miracolo economico, perde i connotati di prodotto commerciale per assumere il ruolo di protagonista nel racconto biografico della Repubblica.

Mentre Ricky Tognazzi recita, «La differenza tra il bene e il male. Cosa essere e cosa non essere. Ci insegnano chi vogliamo diventare. In tutto questo, alcune persone e alcune cose si legano a noi in un modo spontaneo e inestricabile», sfilano sullo schermo la crepa nel Muro di Berlino, Federico Fellini accarezzato da una sciarpa, le macerie della Banca dell’Agricoltura, Giorgio Napolitano con Fabio Cannavaro, la marcia dei quarantamila quadri Fiat, la marionetta Totò, l’orologio fermo della stazione di Bologna, Madre Teresa di Calcutta, le bare dei militari uccisi a Nassiriya, i treni dei cafoni meridionali, De Gasperi in un comizio, donne in marcia per i loro diritti, gli eterni rivali Coppi e Bartali, gli operai a Mirafiori, l’annuncio «Non si affitta ai meridionali», Alberto Sordi in una utilitaria Fiat, i soldati italiani in missione di pace, Giovanni Paolo II che bacia il suolo di Cuba, gli scontri di via de Amicis a Milano, Sandro Pertini con la pipa nella mano, gli zigomi sofferenti di Eduardo De Filippo, i fratelli Abbagnale sudati, bagnati e felici. E poi Oriana Fallaci, Margherita Hack, un volantino delle Br, Indro Montanelli, Giorgio Gaber, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e le macerie di Capaci.

Per dire che la 500 appartiene a tutti gli italiani si contamina memoria civile e ricerca del profitto con uno stile glamour che osa «mescolare una legittima attività imprenditoriale con chi ha dato la sua vita stessa per il Paese».

Insomma, l’attenzione richiamata dal motoscafo del rampollo agisce in un campo semantico in cui la storia viene usata pubblicamente come un’arma ideologica al fine di aumentare la capacità persuasiva del messaggio amalgamando desiderio e identità: possedere quell’oggetto (di lusso) per sentirsi felicemente italiani. Una teoria che trova conferma nell’analoga trasformazione della Decima MAS in marchio commerciale con tanto di sito e-commerce per la vendita di capi d’abbigliamento.

Se aprite la pagina web, troverete sulla barra la sezione “Brand”. Cliccate e si aprirà un’altra pagina in cui è scritto: «Giacoia Massimo sas ha siglato un importante e prestigioso accordo di licenza con Associazione Combattenti Decima Flottiglia Mas, depositaria del marchio presso il Ministero dello Sviluppo Economico, per lo sfruttamento commerciale degli stemmi ed emblemi della X^ Flottiglia MAS nel campo dell’abbigliamento e per l’oggettistica. Le collezioni con marchio X Flottiglia MAS, si ispirano alle gesta dei Grandi Eroi che hanno fatto della DECIMA MAS il simbolo della storia italiana. Tutti i fregi, gli scudetti e le insegne che caratterizzano le Collezioni X^ Flottiglia MAS sono originali, Decima Flottiglia MAS Store è quindi garanzia assoluta di esclusività, autenticità, Sobrietà».

Oltre ad avere dubbi sulle «gesta dei Grandi Eroi», alcuni dei quali erano volgari delinquenti, e sulla improbabile «Sobrietà» del marchio, mi spaventa questo uso pubblico soggettivo della storia, a fini commerciali, che proviene da una profonda, e ormai radicata, noncuranza per la nostra Storia.

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