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Gli Uffizi vincono la battaglia legale contro i bagarini on line, almeno negli USA

Una sentenza storica stabilisce illegale l’uso da parte di terzi lo sfruttamento di domini con la parola Uffizi. Per Eike Schimdt, direttore del museo fiorentino, si tratta di una vittoria storica: “Abbiamo assestato un colpo devastante contro i vampiri della Rete”. A stabilirlo un tribunale dell’Arizona, negli Stati Uniti.
A cura di Redazione Cultura
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A suo modo è una sentenza storica. Già perché per la prima volta un tribunale ha vietato l'utilizzo da terzi dei domini uffizi.com, uffizi.net, uffizigallery.com, uffizigallery.net, uffizigallery.org e altri del genere che, secondo le rimostranze delle Gallerie degli Uffizi, difatti facevano bagarinaggio online, danneggiando la struttura museale diretta da Eike Schimdt.  Quei siti vendevano biglietti a prezzi maggiorati, usando indebitamente il nome Uffizi per "ingannare" i visitatori.

A stabilirlo è stata la corte dell'Arizona, negli Stati Uniti, consentendo in questo modo una vittoria fondamentale per la tutela degli interessi e del brand di uno dei musei più importanti e visitati al mondo, gioiello della cultura italiana. Per il museo, secondo quanto riportato da Ansa, si tratta di "una storica vittoria giudiziaria delle Gallerie degli Uffizi contro il bagarinaggio online":

Vittoria storica. Abbiamo assestato un colpo devastante contro i vampiri della Rete che per anni, come parassiti, hanno illegalmente e in malafede sfruttato il nostro patrimonio e la nostra immagine. Ma non solo: questi siti pirata infatti hanno tratto in inganno visitatori di tutto il mondo.

Il fenomeno del bagarinaggio on line è un fenomeno molto diffuso, che naturalmente non tocca soltanto le Gallerie degli Uffizi, ma tutti i grandi monumenti e musei internazionali, che attirano i desideri di tanti che hanno interesse a lucrarci. Il che ha naturalmente creato una battaglia legale tra le Gallerie degli Uffizi e la società BoxNic Anstalt, che in Arizona aveva registrato numerosi domini contenenti il nome degli Uffizi.

Adesso il verdetto: la corte dell'Arizona ha giudicato tale società colpevole di cybersquatting, violazione e sfruttamento del marchio identitario e commerciale e della cosiddetta "unfair competition", cioè la nostra concorrenza sleale.

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