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Fabrizio Moro: “Ho pensato spesso di mollare tutto. Quando sono innamorato perdo il fuoco per scrivere canzoni”

Fabrizio Moro racconta il nuovo disco, le difficoltà del sistema musicale e la scelta di restare sempre sé stesso: “La libertà ha un prezzo: la solitudine”.
A cura di Vincenzo Nasto
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Fabrizio Moro, via Comunicato Stampa
Fabrizio Moro, via Comunicato Stampa

Il ritorno di Fabrizio Moro con Non ho paura di niente arriva in un momento molto particolare della sua carriera: da un lato, l'esigenza artistica su cui costruisce tutte le nuove consapevolezze del progetto, dall'altro la bolla digitale e il periodo post pandemia in cui "i cantautori della mia generazione ne sono usciti un po' traumatizzati". Un album di liberazione, soprattutto nella sua produzione: "È il sentimento che avevo nella maggior parte delle volte che ho scritto i brani che sono contenuti nel disco. Ho subito molto in passato una serie di dinamiche e meccanismi che il sistema musicale mi aveva ‘imposto'". Poi l'influenza sui giovani cantautori come Eddie Brock, San Basilio che ritorna anche attraverso Simone spaccia e le possibilità per rivederlo, di nuovo, sul palco di Sanremo: "Ho la sensazione che non basti più una bella canzone per partecipare al Festival. Ci andrei sicuramente ma si dovrebbero allineare un sacco di situazioni". Qui l'intervista a Fabrizio Moro.

In che momento sei?

La fase peggiore è passata (ride, ndr). Quest'album tra scrittura e produzione ha una vita di quasi 2 anni e mezzo e li ho vissuti in una determinata maniera. Alcune notti rimani bloccato per cercare la parola giusta, quella che ti possa aiutare con l'arrangiamento.

È stato diverso dalle altre volte?

È stato sicuramente più difficile: tra il post pandemia e la bolla digitale degli ultimi anni, i cantautori della mia generazione ne sono stati un po' traumatizzati. Troppo giovani per aver costruito una carriera solida alle spalle, troppo vecchi per potersi affidare a queste nuove linee di comunicazione.

C'è stato un momento in cui avresti voluto fare un passo indietro?

Mi è capitato spesso, anche in questo disco. Mi capita continuamente, soprattutto quando le cose non mi rendono felice, anche per ciò che mi trasmette la musica. Ci sono stati momenti della mia esistenza in cui c'è stata questa voglia di abbandonare.

Cosa ha sbloccato tutto?

Mesi di scrittura: all'inizio non escono sempre cose belle, serve allenamento, soprattutto quando ricominci a scrivere un disco per come lo intendo io. Questa volta sono stato fortunato perché dopo la prima canzone tutto è andato in discesa o almeno ho faticato di meno. Ho scritto 40 canzoni, poi ne ho scelte 9.

Rispetto al passato, com'è cambiato il criterio di scelta di un brano da inserire in un disco?

Ho sempre avuto una fissazione: la ricerca di canzoni che abbiano la forza di resistere nel tempo, a prescindere dal significato. Le volte in cui ci riesci sono molto meno rispetto alle canzone che pubblichi, però è un presupposto che tengo a mente ogni volta.

C'è qualcosa di questo disco che ti è piaciuta più degli altri?

La leggerezza melodica che hanno certe canzoni. Mi ricordano me stesso a 20 anni, quando facevo musica con la mia chitarra. È un disco che ascolterei in auto, durante un viaggio. Fortunatamente non è un disco particolarmente sofferente, una cosa che verrebbe naturale quando non sei in pace con te stesso e il sistema circostante.

Può essere descritto come un disco di liberazione, rispetto a tante criticità anche personali che pesavano molto?

È il sentimento che avevo nella maggior parte delle volte che ho scritto i brani che sono contenuti nel disco. In passato ho molto subìto una serie di dinamiche e meccanismi che il sistema musicale mi aveva imposto. Ci ho fatto a botte perché da una parte mi dicevo che non me ne fregava un ca***, dall'altra parte non potevo non adeguarmi: avrebbe significato buttare 25 anni di carriera.

Ti sei adeguato?

No, non è successo. Ma mi ha portato a una riflessione su cosa è la cosa migliore, per me, oggi. C'è troppa musica, un caos infernale, ed essere sé stessi è l'unica strada che mi è rimasta. Ho visto al di là di ciò che potevano impormi le radio, la tv, altrimenti sarei diventato scemo. Mi sono dovuto chiedere cosa volessi fare da grande: da una parte assottigliarti per seguire le dinamiche di mercato oppure fare la musica che mi piace, che non è neanche una roba alternativa eh (ride, ndr).

Cosa ti ha spinto più di tutto?

Alcuni cantautori hanno accompagnato il mio percorso: Rino Gaetano, Vasco Rossi, Lucio Battisti, Ivan Graziani. Mi sono lasciato andare al cantautorato perché vengo da questo mondo e nasco con queste sonorità, con questo linguaggio.

Tra i brani che colpiscono, anche per la dimensione sociale e per il tema dell'autolesionismo, c'è sicuramente Simone spaccia.

Non ho utilizzato Simone a caso. Come in passato, ho utilizzato personaggi che ho conosciuto e conosco personalmente perché attraverso loro, con semplicità, riesco a raccontare meglio ciò che volevo dire. Per quanto la mia vita sia cambiata, sia più agiata, non ho abbandonato il mio quartiere San Basilio. Ci vivono i miei genitori, i miei parenti, i miei amici e di riflesso sono ancora lì. Ci vive anche mio figlio, che adesso ha 17 anni, e va lì a scuola. È una realtà che mi apparterrà per tutta la vita e lo dico con fierezza.

Parlando di genitorialità, mi viene in mente Sabato, in cui rifletti il te ventenne e il te genitore. Quali sono le preoccupazioni peggiori di entrambi i "personaggi"?

Il me ventenne era ambizioso e aveva paura di non riuscire a trasformare in realtà i suoi sogni. Era una preoccupazione quotidiana. Il discorso cambia quando parlo della crescita di mio figlio. Vive in un mondo molto più complicato e vorrei che lui riuscisse a essere indipendente, un giorno, da tutto ciò che lo circonda. Spero non diventi uno schiavo di questo sistema: l'unico modo in cui posso aiutarlo è raccontargli la mia esperienza.

Parliamo di famiglia, di casa, mi racconti Casa Mia?

È la canzone del cambiamento: insieme a un'altra persona avevo creato il posto più sicuro al mondo, con tutte le nostre esperienze. E poi, un giorno, questa persona non c'è più. Quella casa smette di essere il posto più bello della vita. Anche perché non ti restituisce più l'amore che ti impegnavi a metterci dentro e ti restituisce una profonda solitudine.

In questo senso, Scatole, nella tracklist, è il passaggio successivo.

Premettiamo che io ho un brutto vizio: ho cambiato sei case in dieci anni e ogni volta mi ritrovo a riempire le scatole con tutta la mia storia. E succede che ritrovi cose di cui non ti ricordi più, sensazione che non pensavi più di poter vivere.

Senti di aver trovato un equilibrio tra libertà e relazione?

Ancora no, ho sempre dato più importanza alla libertà. Ho avuto anche rapporti splendidi con donne fantastiche, come la mamma dei miei figli, con cui ho avuto una storia lunghissima e di cui ero fortemente innamorato. Però ogni volta che trovavo un equilibrio dal punto di vista sentimentale, c'era il tormento interiore dell'altro Fabrizio. Quando sono in pace con me stesso non riesco a trovare quell'energia, quella frustrazione che mi serve per scrivere le canzoni. Ma quella libertà ha un prezzo: la solitudine.

Qualche settimana fa, il giovane cantautore romano Eddie Brock raccontava a Fanpage l'impatto che ha avuto nei suoi anni di formazione il tuo disco Ognuno ha quel che si merita. Come ti senti nei panni di guida di alcuni giovani cantautori?

Da una parte, mi fa molto piacere. Dall'altra mi fa anche sentire un po' vecchio (ride, ndr). La cosa che mi stuzzica è che poche persone si sono accorte di alcuni miei lavori, però mi ritrovo dall'altra parte un sacco di giovani cantautori che hanno formato una propria coscienza autorale grazie ai miei dischi.

Perché credi che poche persone si siano accorte del tuo lavoro?

Ma in generale ti accorgi di determinate cose, come quando adesso l'autore di una trasmissione non ti dà il passaggio perché è pieno di cose. All'inizio pensi: "Ma vaffanc***". Poi pensi al fatto che durante la mia carriera ho sempre dovuto aspettare.

Aspettare cosa?

A 20 anni mandavo i provini e dovevano farmi il contratto per tre singoli, ma alla fine era solo uno. Mi dicevano che mi avrebbero chiamato subito, poi mi chiamavano dopo settimane. Ho avuto la forza di aspettare anche Sanremo: ci ho provato per 3 anni di seguito, mi prendono al 4° e va male. E alcune volte, dopo 25 anni di carriera, ti sale un po' quella voglia di scappare via e allontanarti. Però poi arriva la parte saggia, che ti dice di attendere, di non lanciare 25 anni di carriera nel cesso. Credo ce ne siano un sacco nella mia situazione, eh!

C'è chi si nasconde bene e c'è chi parla.

Io sono sicuro che i forti resistono e vanno avanti. Pensa che nei giorni scorsi sono andato a ritirare il premio Pierangelo Bortoli e ho parlato con il figlio Alberto. Mi ha raccontato dell'esordio di Ligabue, che era già grandicello (Ligabue firma il primo disco a 30 anni, nel 1990, ndr) e che suo padre era l'unico a credere in lui. Al punto che di tasca sua gli produce il primo disco, tra i più belli della sua discografia: fino a quel punto, la sua musica era stata scartata da tutti. Fa ridere pensando a ciò che è diventato.

Ti rivedremo a Sanremo?

Il Festival ha fatto e farà sempre parte della mia cultura musicale. Lì ho imparato non solo a starci, ma anche a scrivere canzoni. Rimane l'evento musicale più importante in Italia, ma si sta allontanando dalla gara canora per diventare una trasmissione televisiva. Ho la sensazione che non basti più una bella canzone per partecipare. Ci tornerei sicuramente, ma si dovrebbero allineare un sacco di situazioni.

E invece come ti sei preparato al tour nel 2026?

È già tutto scritto. Anche perché ogni volta che scrivo un disco, dopo la prima fase di solitudine, la seconda fase avviene con i musicisti con cui collaboro da 20 anni e arrangiamo i versi già in vista del live. Per esempio, In un mondo di stronzi, con quel giro di basso, l'abbiamo fatta così perché inizierà la scaletta.

È già pronta?

Assolutamente sì. La cosa bella di questo tour è che finalmente potrò cantare canzoni nuove e potrò vedere le reazioni del pubblico. Poi comincio in casa, si parte da Roma fino a fine novembre 2026.

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