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Da dove nasce la parola Velina, il significato originale è diverso dall’uso di Striscia la Notizia

Negli anni, Striscia La Notizia ha trasformato le veline in una parte integrante dell’immaginario collettivo italiano: hanno finito per incarnare l’archetipo della ragazza che appare sul video con una funzione puramente ornamentale, quasi decorativa. Eppure, l’origine della parola “Velina” ha un’ascendenza assolutamente completamente differente e più che dignitosa.
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Recentemente Striscia la notizia ha sciolto le riserve sul fronte velina: i due nuovi volti femminili della trasmissione saranno infatti Giulia Pelagatti e Talisa Ravagnani. Negli anni, il talk show satirico ha trasformato queste figure in una parte integrante dell'immaginario collettivo italiano: referenti perfette del luogo comune che le presenta come soubrette frivole e prive di intelletto, le veline hanno finito per incarnare l'archetipo della ragazza che appare sul video con una funzione puramente ornamentale, quasi decorativa. Nel programma di Ricci hanno iniziato a chiamarle così per via della loro "mansione" (se così possiamo chiamarla), che era quella di portare ai conduttori le veline, ossia le notizie. Eppure, l'origine della parola "Velina" ha un'ascendenza completamente differente: scopriamola insieme.

Il significato originario della parola "Velina"

Come evidenzia l'Accademia della Crusca, la parola "Velina" proviene dal francese vélin (che significa letteralmente ‘di vitello'), e ha a che fare con il mondo dell'editoria e dell'industria libraria. Infatti, in Francia, la voce vélin era entrata a far parte del lessico comune già dal 1415 e si riferiva al foglio bianco, liscio, sottile e resistente, ricavato dalla pelle di vitellino da latte, particolarmente adatto per la scrittura manuale e a stampa.

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Il significato della parola Velina durante il fascismo

In Italia, invece, il termine "Velina" è storicamente legato al giornalismo e alla comunicazione. Durante il ventennio fascista, la parola indicava infatti i comunicati che il regime inviava alle redazioni dei giornali per informarle di alcuni accadimenti (come ad esempio la visita di un ministro o un'operazione di polizia). Queste comunicazioni erano solitamente scritte su carta da copia (ecco da dove proviene il nome "carta velina"). Non a caso, dal termine "Velina" deriva anche il verbo velinare, che in gergo giornalistico indica proprio il dare una notizia conformandosi alle direttive di un centro di potere, assumere acriticamente "La voce del padrone". Con buona pace di Antonio Ricci e di buona parte dell'establishment televisivo italiano che sembrano averlo dimenticato, la "Velina" non richiama alla mente unicamente coreografie, abiti succinti e pose forzate, ma ha un'origine più che dignitosa.

La replica dell'ufficio stampa di Striscia la notizia

Gentile redazione,

ma cosa dite? Basta andare a pag. 176 del libro di Antonio Ricci “Striscia la tivù” (Einaudi, 1998) per capire l’origine e il ruolo delle Veline di Striscia la notizia.  Riportiamo:

«In gergo giornalistico le veline sono quei fogli di carta sottile e semitrasparente che i centri di po­tere inviavano ai giornali con tutte le indicazioni per tenere l'informazione sotto controllo. Lunghe ricerche etimologiche ci hanno rivelato che le prime veline non erano di carta, ma di carne: «velino» era la pergamena di vitello, nato prematuro. Cosi a Striscia, sia ben chiaro solo per un fatto cultu­rale, le veline le abbiamo ripristinate tutte in «vera pelle», come parodia vivente dei settimanali «Espres­so» e «Panorama», che da sempre hanno utilizzato in copertina donne poco vestite o completamente nude. Per  un'inchiesta su «La fame nel mondo» mettevano due modelle in costume adamitico che mangiavano una mela, e per annunciare la Perestroi­ka una donna nuda col colbacco sulla piazza Rossa. Quello del sesso in copertina è stato il primo gadget venefico, l'allegato mortifero dei settima­nali italiani, il primo cedimento franoso nei ri­guardi della notizia».

E in “Me Tapiro” (Mondadori, 2017), a pag. 106 e 107, il papà di Striscia la notizia, intervistato da Luigi Galella, aggiunge:

«Striscia inizialmente durava pochi minuti. I dispacci che le vallette portavano ai conduttori furono chiamati “veline”. E le mani e il corpo che le porgevano divennero tutt’uno con quel nome. Le ragazze erano una sorta di cavallo di Troia, che introduceva la notizia seria dei pensosi commentatori della carta stampata. Il termine aveva più chiavi di lettura: ricordava le istruzioni consegnate ai giornali dal Regime, durante il fascismo, e creava un apparato danzante in un telegiornale, che fosse varietà. C’era la consapevolezza, inoltre, che con queste veline ci incartavano le notizie i più grossi settimanali d’opinione, come “l’Espresso” e “Panorama”. I conduttori le chiamavano proprio Espresso e Panorama, perché le copertine di quei magazine erano piene di ragazze discinte. Basta vedere i settimanali del tempo per rendersene conto.

C’è stato un momento in cui se chiamavi una ragazza Velina poteva sentirsi offesa.

Forse tuttora è così. Be’, il termine non nasce certo encomiastico. Quand’ero bambino con le veline ci si incartavano i tarocchi (gli agrumi, non ancora i tarocchi dell’informazione). Decorate con immagini di donne procaci, servivano a proteggere e a non esibire gli eventuali danni alla buccia delle arance, a quei tempi molto delicate. Le veline di Regime danno invece l’idea dell’imposizione e di essere figlie della carta copiativa. Certo, le Veline hanno scatenato polemiche pretestuose… ma a noi, comunque, fa sempre comodo che si aprano i dibattiti».

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