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Cosmo: “Ho usato la popolarità per poter essere ancora più libero”

Si chiama Sulle ali del cavallo bianco l’ultimo album di Cosmo che a Fanpage.it racconta i cambiamenti di questi anni, l’impegno politico, il senso di libertà e la sua musica.
A cura di Francesco Raiola
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Cosmo (ph Matteo Strocchia&Marco Servina)
Cosmo (ph Matteo Strocchia&Marco Servina)

La sua strada Cosmo se l'è costruita col tempo, con pazienza e grazie a idee azzeccate che hanno trovato il gusto del pubblico. Il suo pop, infatti, si è contaminato di certi aspetti della dance, della trance, trasformando sempre più la pista da ballo in un rave, piano piano, ma senza perdere il gusto per la canzone, come dimostra anche nel suo ultimo album "Sulle ali del cavallo bianco" in una canzone come L'abbraccio. Cosmo è un caso unico nel panorama italiano, capace di far ballare migliaia di persone, ma anche di fracassare il cuore con versi come "Ti ho stretta per non lasciarti cadere. Ti ho stretta fortе perché poi si muore. Ti ho stretta fortе per farti capire che cos'è il mio amore". Come è cambiato in questi anni il cantautore ce l'ha spiegato in quest'intervista in cui ha parlato della collaborazione con Not Waving, di live, di libertà creativa e politica.

Sulle ali del cavallo bianco è un disco che un po’ se ne frega di tutto, meno solo della seconda parte di Cosmotronic, ma forse ha anche un’idea diversa di pubblico. In che parte del percorso di Cosmo si inserisce?

È un percorso che come si è già notato negli scorsi anni, è andato sempre più verso il clubbing, verso tutta una matrice molto più scarna a livello armonico e quindi più vicina a quel mondo, pur provando sempre a scriverci canzoni pop sopra. Avevo cominciato già nel disco precedente, "La terza estate dell'amore", benché fosse un po' più politicizzato, per arrivare poi a un momento in cui ho passato un anno sicuramente diverso da quelli prima, più immerso nella vita e un sacco di cose, anche private, hanno preso il sopravvento a livello emotivo, sentimentale, ma anche di esperienze psichedeliche che ho fatto.

Come mai hai voluto con te Not Waving?

È un momento in cui in più ho sentito l'esigenza di lavorare con un'altra persona e nella mia testa quella persona  è sempre stata Not Waving. È sempre stata lui perché avevamo già lavorato insieme all'ultimo disco dei Drink to me, poi abbiamo provato a fare insieme un pezzo di Cosmo che avevo già praticamente quasi finito – "La verità", singolo uscito a fine 2022 -, ci siamo trovati molto bene perché allora lui mi disse "ma perché non scaldiamo un po' ‘ste strofe? Mettiamo un pianoforte, dei violini, degli archi?", e io dissi "Cazzo, vero". Quando l'esperimento è riuscito abbiamo organizzato la prima session a febbraio e siamo usciti fuori con sei provini, strumentali, in tre giorni, in cui c'era dentro di tutto, dalle chitarre classiche ai suoni della trance, mischiati insieme. Abbiamo capito che assieme si funzionava bene, che questa visione ci accomunava, il fatto di avvicinare il classico con le cose più moderne, anche più sperimentali, avvicinare il pop alla sperimentazione è una cosa che ci interessa parecchio. Che poi in realtà rimane pop, essenzialmente, non è musica sperimentale, ma da questa prendi un'attenzione che non è soltanto utilitaristica – ovvero arrivare a numeri grandi – ma ha a che fare col pezzo in sé, col suono del pezzo in sé, quindi, magari, con la decisione di prendere certe scelte coraggiose. Ovviamente a sostenerle c'è sempre una canzone, se non c'è la canzone puoi mettere tutte le soluzioni che vuoi però non vai da nessuna parte.

Mi viene in mente "Tutto un casino", un pezzo pop che però dentro ha…

C'ha Aphex Twin, con gli arrangiamenti di archi intensissimi, infatti quella è una delle nostre preferite, ha il pianoforte, i suoni della trance che entrano dentro, quei synth, e quindi veramente ci siamo trovati molto bene e questo momento qua per me è l'inizio di una fase nuova, sicuramente andremo avanti finché non ci stufiamo a lavorare insieme sulle mie cose. Addirittura mi ha detto "Tu dovresti aiutarmi a lavorare i pezzi di Not Waving".

Praticamente sta diventando un duo…

Sì, per la vita, infatti ho fatto delle cose tipo la cover di Paola e Chiara. Avevo fatto questo pezzo loro, che hanno fatto riuscire i pezzi vecchi e mi hanno chiesto di fare Kamasutra: io ho fatto venire da Londra Alessio e lo abbiamo fatto insieme. Praticamente ho visto più lui che la mia compagna, quest'anno. Questo momento per me è magico perché mi sono tolto un peso, quello del prendere tutte le scelte e prendersi tutte le responsabilità, è bello condividerle.

Il tuo è un percorso che continua a essere pop, comunque, penso a Tutto un casino o L'abbraccio: quando mi dici che è una nuova fase mi pare più un'espansione del progetto, dell'idea, nel senso che c'è questo pop che è sempre più clubbizzato, quindi un prosieguo naturale.

Certo, ma anche quando è nato Cosmo era l'evoluzione di quello che stavo provando a fare coi Drink To Me in quel periodo. Se ci pensi la cassa dritta dei Drink To Me è stata introdotta da Alessio quando ha lavorato all'ultimo disco che era Bright White Light. Il disco che ho fatto dopo era L'ultima festa, quindi c'era proprio quella evoluzione e Cosmotronic, l'album successivo, ha evoluto quel linguaggio lì e l'ha portato un po' all'estremo e ancora più all'estremo è andato il disco scorso e questo invece vuole essere l'esplosione del fuoco d'artificio: questo razzo è andato su ed è esploso adesso e siamo nella fase proprio dei fuochi d'artificio, non c'è più un limite. Con Alessio ci siamo detti: "Ma quante cose possiamo fare adesso che abbiamo scoperchiato questa cosa?".

Aver raggiunto una certa popolarità con L'ultima festa ti ha mai messo dei limiti?

No, io sempre vissuto questa cosa dell'aver avuto attenzione dal grande pubblico come una licenza di libertà maggiore. Per molti diventa "Ah, cazzo, devo mantenerlo questo pubblico, devo aumentarlo" e invece per me era tipo "Wow, adesso che mi ascoltano, che ho la loro attenzione, piano piano li porto la mia idea" e negli anni ho voluto sempre più portarli nella direzione che volevo io. Ti giuro, ogni volta che è uscito un disco c'è sempre stato il momento: "Ma come?". Quando uscì Cosmotronic all'inizio ci fu un attimo di incertezza, con questa seconda parte strumentale. Turbo è stato preso tiepidamente all'inizio, il mio pubblico mi disse "Ma che cazzo è?". Ogni volta gli ho sbloccato delle cose, poi però lì sto portando in giro a spasso. Se pensi ai primi concerti de L'ultima festa, che era una roba in cassa dritta, l'attitudine al ballo che c'era nel pubblico era una, quando ho fatto La terza estate dell'amore, due dischi dopo, era veramente diventato un party. Ovviamente ero migliorato anch'io a costruire i groove, l'ho imparato un po' meglio cos'è un groove, però la gente era cambiata.

Hai detto: "La mia musica ha un linguaggio che non tutti capiscono" fammi capire, in che senso?

Non sempre mi rendo conto che la mia musica arriva e soprattutto lo stanno a testimoniare anche i numeri che faccio, non sono uno che proprio fa impazzire il pubblico più generalista. Deve esserci sempre un certo grado di attenzione e di comprensione, anche perché il mio suono, se ascolti i miei pezzi in radio, è diverso da tutti, sempre. Ma è sempre stato così, anche quando partiva "Se la mia città" mi rendevo conto che niente suonava come quel pezzo e quindi questa cosa ogni tanto è un limite.

Stiamo dicendo pop o club etc, ma col senno di poi ci pensi a queste etichette? Gli artisti solitamente dicono che vale solo la loro musica, ma a te c'è stata un'evoluzione…

Io non ho mai nascosto il fatto che per me il percorso fatto fino allo scorso disco era di avvicinamento alla dimensione del club perché lì ci vedevo delle cose che mancavano nel mondo del pop. E poi, bazzicandolo anche in maniera non superficiale, come frequentatore di feste o dj, sono comunque super intrippato, non è che vado lì faccio il dj e metto i miei pezzi, anzi, faccio una ricerca profonda, molto autocritica e vado a cercare le cose più bizzarre; sto acquistando sempre più sicurezza, però comunque non è una roba che affronto così. Ed essendo un osservatore di certe dinamiche, mi son detto "Cazzo, ma qui dentro c'è della roba importante!" e quindi ho voluto portarci un po' la mia musica dentro questa cosa o viceversa. È chiaro che nasce sempre un terzo risultato. Non è né uno nell'altro, è una cosa diversa, un po' come quando James Blake disse: "Volevo fare la dubstep ma mi è venuta fuori sta roba qui". Lui di formazione classica, voleva fare la dubstep ed è venuto fuori James Blake, ed è la cosa che sento anch'io. Mi sono esplicitamente riferito a quel mondo. Ultimamente preferisco andare alle feste piuttosto che andare ai concerti.

È stato un po' come dire: "Ho allargato lo spazio pop a quella dimensione, se volete potete entrare anche voi", e questo mi porta a un concetto di comunità: quanto è importante questa idea nella musica che hai fatto?

A partire da Cosmotronic e poi soprattutto ne La terza estate dell'amore è stato importantissimo, quando è finita la pandemia, con DNA Concerti abbiamo organizzato questa festa, a Bologna, la festa dell'amore, che era sostanzialmente un festival di tre giorni in cui gran parte dello spazio era dato al ballo: c'erano gli after, ed erano 10 ore di musica al giorno. Io stavo in mezzo alla gente dall'inizio, ballavo quanto più possibile, fino magari a mezz'ora prima della mia performance. Stavo lì in mezzo, mi caricavo di questa cosa, di stare insieme e ricordo benissimo la terza data, era Pasquetta nel 2022, forse la data più bella che ho fatto in vita mia, più del Forum d'Assago, secondo me: la festa è iniziata intorno alle 13 ed è finita alle 23, chiudevo io, non c'era l'after perché essendo l'ultimo giorno bisognava smontare. Alle 23 abbiamo chiuso, quindi ho iniziato alle 21 ma dalle 13 alle 20.30 sono rimasto in mezzo alla gente a ballare, un botto di ore proprio e quando sono salito sul palco non c'era alcuna distanza tra me e loro. Li sentivo come i miei amici con cui poco prima avevo ballato, poi sono salito sul palco e adesso ballavo da lì. Quella cosa è proprio l'apice di quella che è la mia idea, stare lì, in mezzo alla gente, e poi sul palco, avevo semplicemente cambiato posizione, ma non avevo alcuna ansia, mi sono sentito il corpo sciogliere, disinvolto e tranquillissimo, non avevo alcun tipo di blocco nel corpo, è stato bellissimo.

Oggi è ancora così?

Adesso sono un pochino meno interessato a quell'aspetto, l'ho approfondito ma sono anche uno che poi sposta l'attenzione su altre cose. Oggi, ad esempio, mi sto un attimo concentrando su una dimensione più tranquilla dal vivo, mi interessa anche suonare delle ballad, delle canzoni, giusto per tirar fuori qualche altro colore in questa palette che offro a me stesso. Ho voglia di cose più tranquille, lo scorso tour è stato così intenso che un paio di volte sono svenuto sul palco e quindi questa volta ho detto: "Ma perché mi devo uccidere dal vivo?". In questo prossimo tour abbiamo fatto delle parti che sono un attimo più calme, poi si tira su, poi giù, cioè si respira meglio, ho anche 42 anni!

Invece mi racconti Antipop?

È un documentario che ha voluto fare Jacopo Farina, che mi seguiva per i videoclip. Mi ci sono trovato coinvolto per forza di cose, avevo tutti i filmati di repertorio, avevo da raccontare delle cose e l'abbiamo fatto in maniera molto particolare. Sta piacendo tanto anche per quello, perché non è centrato troppo su di me ma tanto su chi mi circonda e mi circondava. Per farti un esempio, quando i miei genitori parlano, nel documentario, raccontano di se stessi. Mio fratello parla di se stesso, non parlano di me, però tu capisci delle cose di me attraverso chi mi circonda. Rob, il mio batterista storico compare quasi molto più di me e parla del fatto che ho passato periodi di ansie vere, attacchi di panico. Parla di come era fatta la sala prove, di come ci organizzavamo, c'è la mia band che racconta un po' come erano le cose. Perché mi rendo conto che esistiamo e siamo quello che siamo grazie a chi ci circonda, ci definiscono.

A un certo punto ti sei caricato sulle spalle anche un certo impegno politico, ti senti ancora responsabilizzato rispetto alla politica?

Sì, certo, la mia la dico sempre, ovviamente non voglio neanche stare troppo lì a fare il vate, anche perché penso sempre che per riuscire a dire delle cose significative e ficcanti ci vuole tempo, ci vuole un'elaborazione del pensiero, va fatto bene. L'esempio che si conosce meglio è quello di quando sono stato ospite a Rai2, da Ilaria D'Amico, quando abbiamo ricavato quella clip in cui parlavo del Decreto anti rave e dei rave in generale e quella roba ha spopolato, ma l'ho fatta bene, ci ho messo un po' di tempo, l'ho studiata insieme a Vanni Santoni, Damir Ivic, Enrico Petrilli, un amico che ha scritto questo libro "Notti tossiche", riferita al club come forma di resistenza della soggettività. Ho elaborato una cosa argomentata bene e l'ho detta bene, cioè, se volessi essere veramente ficcante dovrei fare sempre un lavoro così: c'è un argomento, mi metto lì, preparo un video fortissimo, perché so che riesco a farlo, ma ci vuole tempo. Altrimenti mi limito a qualche sbottata in qualche storia oppure interviste, se vengo ingaggiato sotto elezioni a dare le indicazioni, a prendere per il culo la destra, a elogiare Ghali, quello che ha fatto lui è super. Non voglio anche star lì a diventare quella roba, però sono sempre pronto.

Insomma hai una voce e sai come usarla.

Io ci penso, passo tanto tempo del mio privato a pensare, quindi sono sempre pronto, quando si parla di ‘ste cose ce l'ho, capito? Non sto manco ad ammorbare la gente, alla fine faccio musica, voglio anche prendermi cura di questo.

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