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Cosa vuol dire crescere in Palestina tra la violenza israeliana e quella di Hamas

Nel memoir La Ribelle di Gaza, la scrittrice e attivista Asmaa Alghoul racconta cosa ha voluto dire crescere a Gaza incastrata tra la violenza di Israele e quella di Al Fatah e poi Hamas.
A cura di Francesco Raiola
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Asmaa Alghoul (ph Frederick M. Brown/Getty Images)
Asmaa Alghoul (ph Frederick M. Brown/Getty Images)

A pagina 183 de La Ribelle di Gaza, la scrittrice e attivista palestinese Asmaa Alghoul racconta la differenza tra vedere la morte dal vivo e vederla mediata da uno schermo, una morte improvvisa arrivata a causa di un missile israeliano che ha ucciso un bambino mentre era in un'auto. A pagine 194, invece, c'è il racconto di come per Israele sia diventato normale l'uccisione dei civili palestinesi. Ma in queste quasi 200 pagine scritta assieme allo scrittore franco-libanese Sélim Nassib, Alghoul non racconta solo Israele, anzi, quello che fa la scrittrice è cercare di portare chi la legge nella vita di un civile palestinese, circondato sì, perennemente, dalla violenza dell'esercito israeliano ma anche della radicalizzazione di Hamas e dell'islamizzazione della vita a Gaza, Rafah e ovunque si siano scontrate Hamas, appunto, e Al Fatah.

Con l'esplosione della guerra israelo-palestinese E/O ha deciso di portare in Italia questo memoir, perché anche di narrativa abbiamo bisogno per comprendere ciò che sta succedendo a Gaza. In questi mesi in tanti hanno commentato la strage di civili avvenuta dopo l'attacco del 7 ottobre da parte di Hamas, che ha ucciso oltre 1000 persone e altrettanti hanno potuto osservare la violenza della risposta israeliana che ha portato all'uccisione di circa 30 mila persone (sic) e la distruzione di Gaza. Ed è tornata in auge tantissima saggistica sul conflitto, sulla sua Storia, cercando di sfamare la voglia di comprendere quali sono le dinamiche di questa guerra che va avanti da un secolo. A ondate ricordiamo che esiste la Palestina, oggi ci ricordiamo di Hamas e sempre a ondate – a seconda degli attacchi – ci ricordiamo dei razzi israeliani. Ma per comprendere un conflitto non è solo di saggistica che abbiamo bisogno, la letteratura è più ampia, e la narrativa regala uno sguardo diverso, integra con le storie, le emozioni, questo racconto.

La ribelle di Gaza fa proprio questo, accompagna il lettore nella Gaza di questi ultimi decenni e lo fa con lo sguardo alla quotidianità di una donna in un mondo in cui pian piano alle persone e alla donna, soprattutto, sono stati tolti diritti e parola. Lo sguardo è quello di una donna che da una parte ha la fortuna di vivere con un padre progressista che la educa alla libertà, al non conformarsi a una società che si radicalizza sempre di più, e dall'altra ha uno sguardo ampio dovuto anche alla convivenza con uno zio che diventerà un dirigente sempre più in vista di Hamas. Alghoul vive questa tensione continua man mano che cresce e ci mostra, pagina dopo pagina, il cambiamento radicale che i palestinesi hanno affrontato negli anni, prima per la paura costante dell'esercito israeliano a cui non è risparmiato niente, ma anche il progressivo oscurantismo che vivrà la società palestinese prima sotto Al Fatah e poi Hamas, che a sua volta, dopo l'elezione del 2006, cambia radicalmente il proprio atteggiamento.

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La Palestina diventa sempre più una terra inabitabile per chi non si conforma e la scrittrice non lo fa, protesta contro le restrizioni, contro i divieti imposti alle donne, è più volte costretta ad allontanarsi e andare all'estero, dove contrae due matrimoni infelici, ma ogni volta sente il bisogno di tornare a casa. Quello di Alghoul è un libro su una terra amata, di cui racconta le tradizioni, ma anche un libro contro il patriarcato: "L'uomo ha sempre avuto paura della sua potenza e del suo poter e ha camuffato la propria paura di le in paura per lei. Per proteggere se stesso l'ha confinata in casa e ne ha ridotto il ruolo sociale allo stretto necessario, permettendo alle religioni di rendere eterna quella struttura di dominio che non avevano inventato loro" scrive la scrittrice, che pure non si definisce femminista avendo vissuto sulla propria pelle come alcune sedicenti femministe si sono comportate sotto il regime di Hamas.

E se all'inizio il nemico è soprattutto israeliano, pian piano il racconto punta una lente di ingrandimento sul cambiamento della società palestinese, sulla corruzione, sull'involuzione dei diritti e lei stessa ci rimette spesso la libertà: più volte viene messa in carcere, più volte deve allontanarsi e qualche volta viene malmenata, sicuramente mal vista in quel Paese in cui, però, resta comunque la nipote di un alto quadro di Hamas, che a un certo punto prende il potere e si radicalizza sempre di più, benché, come ricorda l'attivista: "Hamas esiste perché Israele ha preso le terre palestinesi". Ne La ribelle di casa si racconta il perché ogni palestinese sente il bisogno di costruirsi una casa dopo aver persola terra, di come si viva ogni istante con la paura di perdere un proprio caro o che scoppi una guerra (talvolta assolutamente improvvisa), della fame, di come basti manifestare per finire in carcere o picchiati dai militari o paramilitari, ma anche l'amore per le serie turche che regala svago e per Mohamed Assaf, cantante e mito nazionale grazie alla vittoria del reality Arab Idol!, a dimostrazione di come anche in una terra distrutta e controllata costantemente ci si possa regalare attimi di felicità e orgoglio.

Quello di Asmaaa Alghoul e Sélim Nassib (che in questo racconto scompare, lasciando tutto lo spazio alla scrittrice) è un libro che aggiunge qualcosa alla narrazione da cui spesso siamo sopraffatti, che insieme alla tanta saggistica regala un punto di vista palestinese su quello che succede nella loro terra, raccontata troppo spesso da chi non solo quella realtà non l'ha mai vissuta, ma che spesso e volentieri non ha accesso neanche a fonti originali, non parlando arabo. Quello di Alghoul, quindi, è un'altra tessera di un puzzle ampio di cui probabilmente non esiste una versione definitiva, una tavola in continua costruzione, ma che dobbiamo assolutamente impegnarci a conoscere per riconoscere dove stanno le crudeltà, e regalando la testimonianza, ancora una volta, del potere della narrativa.

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