Vajont, la denuncia shock: “C’era un piano per far cadere la frana”

L'enorme frana che cinquanta anni fa si staccò dal monte Toc finendo nelle acque della diga del Vajont e scatenando un'onda mortale che provocò morte e distruzione non fu un incidente ma un progetto ben preciso dei gestori dell'impianto poi finito male. E' questa la denuncia shock delle figlie di Isidoro Chiarelli, l’allora notaio di Longarone, comune distrutto dall'onda che si abbatté nella sottostante valle del Piave nella tragedia del Vajont. "Abbiamo fatto le prove a Nove, le onde saranno alte al massimo 30 metri, non accadrà niente e comunque per quei quattro montanari in giro per i boschi non è il caso di preoccuparsi troppo", è questa la conversazione tra alcuni dirigenti della diga denunciata da Francesca e Silvia Chiarelli al quotidiano Il Gazzettino così come raccontata a loro dal padre che aveva ascoltato tutto nei suoi uffici mentre veniva stipulato un atto relativo all’acquisto di un terreno.
"La sera del disastro programmato mio padre ci fece stare pronti. Eravamo vestiti di tutto punto, pronti a scappare" racconta Silvia spiegando che il padre cercò fin da subito di rivelare il fatto dopo la tragedia, ma non fu mai creduto e anzi fu evitato. Quella denuncia "costò alla famiglia l’isolamento dalla Belluno che conta, ma nostro padre, anche se per quasi due anni non lavorò più, schivato da tutti, non smise mai di farsi testimone di quelle parole. Per questo ebbe molti problemi, pressioni e minacce. Il suo grande cruccio fu quello di non essere mai creduto, nemmeno nella sua veste certificante di notaio" spiegano le due sorelle, aggiungendo "parlarne oggi, in cui l’attenzione mediatica è forte, per l’imminente cinquantesimo, non può che rendere onore al coraggio di nostro padre".