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“Uccidere era come bere un caffè”: il racconto di Salvatore Annacondia, accusato di più di 70 omicidi

Salvatore Annacondia, ex stragista accusato di più di 70 omicidi, scelse nel 1992 di collaborare con la giustizia. Durante un’intervista alla televisione, il killer ha raccontato gli anni dei crimini più efferati, con l’accusa di oltre 70 omicidi.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Salvatore Annacondia
Salvatore Annacondia

"Non mi piaceva lasciare qualcuno in vita, preferivo uccidere. Perché? Perché i morti non parlano". Il racconto è quello di Salvatore Annacondia, boss della mafia pugliese che fra gli anni Ottanta e Novanta è stato accusato di almen0 70 omicidi. Affiliato a Cosa Nostra, si è pentito ormai da circa un decennio, collaborando con la giustizia. L'uomo ha rilasciato una lunga intervista al programma Tv Le Iene, durante la quale ha raccontato del suo soprannome "Mano mozza" e della decisione di diventare poi collaboratore di giustizia.

Durante l'intervista, ha spiegato di aver perso una mano nel 1972, tra i 13 e i 14 anni, per via di una bomba. "Avevo fatto la miccia talmente corta che mi esplose in mano e questa mi venne amputata". Per questo motivo Annacondia perse il lavoro in cantiere e iniziò a fare piccoli furti, dedicandosi anche al contrabbando di sigarette. Davanti alle telecamere ha ripercorso i suoi passi criminali nella Milano Bene degli anni Settanta. "In una discoteca un ragazzo mi disse che non potevo entrare lì. Risi, perché quando diventavo cattivo ridevo, e presi una bottiglia di champagne. Gliela spaccai in testa".

Il giovane citato nel racconto di Annacondia era Carlo Argento, altro nome allora conosciuto nella malavita milanese. Il suo fu interpretato come un gesto di scoraggio e spregiudicatezza. "Avevo l'indole di ammazzare" ha raccontato ancora, ripercorrendo la storia criminale che lo ha portato poi in carcere. Dopo il viaggio a Milano, Annacondia tornò a Trani dove iniziò la sua vera e propria ascesa criminale: il primo omicidio per un regolamento di conti. "Sparai due colpi in testa come un vero killer, poi tornai calmo e andai via. Non mi fece alcun effetto. La seconda persona uccisa invece fu portata al largo, in mare. Gli facemmo esplodere la testa e sul litorale di Bisceglie fu trovata solo una gamba".

Più di 70 omicidi compiuti a volto scoperto e con una facilità impressionante. "Non assumevo droghe prima di compiere i reati, vanno compiuti a mente fredda e con lucidità – ha raccontato -. Io avevo l'indole di ammazzare, avevo una tale freddezza e calma…per me una cosa del genere era come andare a bere un caffè". Uno degli omicidi per i quali fu accusato, Annacondia lo compì perfino mentre era ai domiciliari, sulle scale di casa. “Il sangue arrivava fuori al portone, suonarono i carabinieri per un controllo e dissi che avevamo tagliato la testa a una gallina. Andarono via. Avevo una tale freddezza e calma. Per me ammazzare una persona era facile e naturale, la facoltà di fare luce e buio”. Tra i cadaveri distrutti nelle sue fornaci, c’era anche quello di Giovanni, omicidio del quale il killer si è pentito.

"Credevamo fosse un collaboratore delle forze dell’ordine. Sparato e bruciato" ha ricordato. L'ultimo delitto prima del carcere fu quello di Tetè Diomede, ucciso con un coltello. "Non assumevo droga prima di uccidere, i reati non si fanno a mente alterata". Dopo l'ultimo omicidio, Annacondia entra in carcere, dove però riesce a portare avanti una vita nel lusso. "Le forze dell'ordine erano corrotte, per ogni grado c'era una busta – ha spiegato -. Sono sempre stato coperto da politica e imprenditoria perché una mano lava l'altra. Erano loro a fare il lavoro sporco per me".

In carcere, Annacondia conduceva una vita decisamente lussuosa, molto al di sopra delle possibilità degli altri detenuti. Riusciva a consumare pranzi fatti di aragosta e champagne e perfino a ottenere cocaina e pistole.

Nel 1992, però, avrebbe deciso di fermarsi e collaborare con la giustizia. “Mia moglie venne a colloquio e mi disse che mio figlio stava morendo per colpa mia – ha raccontato -. Stava avendo un deperimento organico per mancanza di affetto paterno. Io ho rifiutato quella vita per stargli vicino, ho abbandonato la strada vecchia. Non so se faccio ancora paura, ho sempre 18 anni dentro e quello di cui sono capace è molto pericoloso. Ma sono diventato tranquillo. Non voglio avere più problemi, né niente a che fare con questo mondo”.

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