Uccide moglie e figlia. Omicida: “Ho fatto male più grande”

"La mia colpa è grande. Ho fatto il male più grande che un padre può fare. Un padre deve dare la vita, non toglierla. Ma la mia testa non era la mia testa e le mie mani non erano le mie mani": sono le parole dette nella sua dichiarazione spontanea resa stamattina in tribunale a Pordenone da Abdelhadi Lahmar, l'uomo di 40 anni di origini marocchine che il 15 aprile 2015 assassinò la moglie e la figlia di appena 6 anni a colpi di accetta nella loro abitazione di Pordenone. Subito dopo il Gup Roberta Bolzoni si è ritirata per elaborare la sentenza.
"La punizione della legge non sarà mai grande come la punizione che mi danno il mio dolore e la disperazione di aver fatto questo. Anche se mi dicessero che devo morire -ha aggiunto – Perché io sono morto con Touria e Hiba". "Di fronte a una tragedia – ha dichiarato l'avvocato Gianluca Liut, difensore di Lahmar – la domanda è se poteva essere evitata. Questo è il tempo della riflessione, non delle facili speculazioni. Bene ha fatto il Comune di Pordenone a non costituirsi parte civile nel processo, è stato un atto di responsabilità. Una presa d'atto – ha concluso – della necessità di comprendere che le istituzioni devono fare in modo che in futuro non si debbano più piangere un'altra Touria, un'altra Hiba. Abdelhadi Lahmar è consapevole di andare incontro al proprio destino. Ma nessuna pena, seppur pesante, potrà mai essere tanto grave quanto la disperazione per aver perpetrato il peggior crimine che un padre possa commettere: togliere la vita alla propria figlia".
Nei mesi scorsi, al termine delle indagini, il pubblico ministero Federico Facchin aveva chiesto la massima pena, ovvero l'ergastolo, per Abdelhadi Lahmar.