Sedici anni fa l’omicidio di Marco Biagi, la denuncia: “Lo Stato ha abbandonato mio padre”

"Lo Stato ha abbandonato mio padre. Lui aveva una scorta fino a pochi mesi prima di essere ucciso, fino al novembre del 2001. Per cui penso che il fatto che gli sia stata tolta senza motivo o comunque con una grande sottovalutazione del pericolo sia una cosa molto grave". Con queste parole Lorenzo, 29enne figlio di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso il 19 marzo del 2002 dalle Nuove Brigate Rosse a Bologna, in via Valdonica, ha parlato del delitto del padre nel giorno del sedicesimo anniversario della sua scomparsa. "Spero – ha continuato, sottolineando il ruolo fondamentale che nella sua morte ha avuto la mancanza della scorta – che questo non capiti più ad altre persone o altre figure come lui". Parole dure queste dell'ultimogenito di Biagi, che per la prima volta ha parlato pubblicamente del genitore a pochi passi dal luogo in cui il professore fu fatto fuori la sera della festa del papà con colpi di arma da fuoco, e che non risparmiano nessuno.
Soprattutto l'ex Br Barbara Balzerani, che nei giorni scorsi aveva detto che quello della vittima era diventato "un mestiere". "Provo un grande disgusto nei confronti di questa frase – ha continuato Lorenzo -, anche perché offende tutte le persone che hanno sofferto. Io, ad esempio, come figlio di Marco Biagi e come vittima penso che ci dovrebbe essere più rispetto nei nostri confronti. Loro sono solamente degli assassini e dovrebbero tacere e basta". Ha poi anche aggiunto che "essendo una persona molto credente non provo odio nei confronti di nessuno. E neanche nei confronti degli assassini di mio padre. Però ovviamente non li perdono, perché mio padre non lo ho più e questo rimarrà così per sempre".
La vergogna delle scritte infamanti a Modena
Intanto, non sono mancate le polemiche nel giorno del sedicesimo anniversario della morte di Biagi. Scritte infamanti sono apparse sui muri dell'Università di Modena e hanno immediatamente fatto il giro dei social network. "Marco Biagi non pedala più" e "Onore a Marco Galesi" sono solo alcuni dei messaggi lasciati. Infamanti, anche e soprattutto perché inneggiano a Galesi, che è uno degli uomini condannati per l'omicidio. "Queste le scritte oggi sui muri della facoltà di Economia – scrive su Twitter Michele Tiraboschi, all’epoca assistente del giuslavorista -. Questa la ragione del perché ricordare Marco Biagi. Non uno stanco rituale ma una battaglia di verità. Una morte assurda e ingiusta, maturata in un clima di odio e intolleranza che purtroppo non è scomparso".
Anche il presidente Sergio Mattarella ha voluto ricordare Biagi. "La ferita inferta dai terroristi assassini è ancora aperta nella nostra comunità civile", si legge in un comunicato del capo dello Stat. "l terrorismo – ha continuato – è stato sconfitto irrevocabilmente nella coscienza popolare, grazie all'unità del popolo italiano. Nel loro assalto all'ordinamento e alla convivenza civile, i terroristi hanno spezzato con disumanità tante vite e provocato immense sofferenze, ma non sono riusciti a disgregare la società e a colpire la Costituzione, che resta il fondamento della Repubblica".
Chi era Marco Biagi e come è stato ucciso
Marco Biagi è stato ucciso la sera del 19 marzo 2002 a Bologna all'età di 51 anni, mentre rincasava a bordo della sua bicicletta. I sei colpi che gli sono stati esplosi a bruciapelo non gli hanno lasciato scampo. Ex socialista, era un giuslavorista e noto editorialista de Il Sole 24 Ore, oltre che docente di diritto in alcune delle più prestigiose università italiane. Il suo omicidio, a opera di un commando delle Brigate Rosse, avvenne un anno prima dell’approvazione della legge da lui promossa e indicata comunemente con il suo nome, la famosa "Leggi Biagi", che avrebbe dovuto introdurre una maggior flessibilità dei contratti di lavoro finalizzata a rendere più semplici le assunzioni e ampliando così gli ingressi nel mondo del lavoro.