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Ultime notizie su Sara Pedri, ginecologa scomparsa a Trento

Sara Pedri, altro caso di mobbing all’ospedale di Trento: “Si è aperta una ferita mai rimarginata”

Non solo Sara Pedri. Il consigliere provinciale di Onda Civica, Filippo Degasperi, in un’interrogazione all’assessore alla sanità ha scritto che nel marzo 2020 la Corte d’Appello ha condannato l’Azienda sanitaria trentina per mobbing, fissando un risarcimento di oltre 200mila euro a favore di un medico anestesista-rianimatore, che si era dimessa quattro anni prima, dopo un periodo di lavoro travagliato: “Non ho potuto non immedesimarmi in quanto le è accaduto, si è aperta in me una ferita mai rimarginata”.
A cura di Ida Artiaco
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Mentre continuano le indagini sul caso Sara Pedri, la dottoressa originaria di Forlì scomparsa dallo scorso 4 marzo dopo aver denunciato un clima di tensione e angoscia nel reparto di Ostetricia dell'ospedale Santa Chiara di Trento, dove lavorava, i riflettori si accendono su un'altra storia di mobbing che si è consumata sempre tra le mura di quel nosocomio. Come riporta il quotidiano L'Adige, è stato il consigliere provinciale di Onda Civica, Filippo Degasperi, a riferirla come spunto per indirizzare un’interrogazione all’assessore alla Sanità. Il caso cui si riferisce risale al marzo del 2020, quando la Corte d’Appello di Trento ha condannato l’Azienda sanitaria trentina per mobbing, fissando un risarcimento di oltre 200mila euro a favore di una dottoressa anestesista-rianimatore, che si era dimessa quattro anni prima, quindi nel 2016, dopo un periodo di lavoro piuttosto travagliato.

"Leggendo la sentenza della Corte di Appello di Trento, che è la numero 5/2020, abbiamo scoperto parole durissime volte a censurare le condotte vessatorie, tutte accertate dal Tribunale di Trento e riportate nelle motivazioni per condannare l'operato dell'Apss", si legge nell'interrogazione del consigliere Degasperi, che continua: "Si parla apertamente di trasferimenti tra reparti senza consenso, di ripercussioni negative in seguito alla richiesta di fruire di congedi parentali con imposizione di rinunce e ritorsioni, discriminazioni relative ai compensi di risultato con valutazioni negative espresse dal Direttore di Unità Operativa a fronte di carichi di lavoro insostenibili e molto altro ancora. Si parla, e si condanna, per mobbing", sottolineando come, al pari del caso Pedri, anche allora non fu fatto nulla e si preferì pagare e mettere a tacere tutto. "La Corte di Appello conclude che ‘l'elemento intenzionale è evidente, trattandosi di condotte tutte volontarie, di cui era palese l'idoneità a creare una situazione di sofferenza psicologica nella dottoressa che le subiva', e che ‘le condotte del primario sono state poste in essere deliberatamente e nella consapevolezza della loro idoneità lesiva dell'integrità psichica'".

Il consigliere provinciale conclude: "Se c’è un clima poco sereno in certi reparti forse è il caso di risolvere subito la situazione, prima che intervengano altri o la magistratura. Anche perché sono convinto che in Azienda i casi siano pochi". Sulla questione è intervenuta, sempre sull'Adige, la stessa dottoressa che si era dimessa. "I comportamenti che ho subito mi hanno profondamente danneggiato. Io vivo da tempo a Roma, perché non potevo più lavorare a Trento, mentre i miei figli e mio marito vivono ancora lì. Non ho potuto non immedesimarmi in quanto è accaduto a Sara Pedri, si è aperta in me una ferita mai rimarginata. Leggendo quelle cronache ho rivissuto ciò che è accaduto a me".

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