
È stata ribaltata dalla Corte di Appello di Ancona la sentenza del Tribunale di Macerata che aveva assolto nel 2023 un uomo accusato di aver stuprato una ragazza di17 anni. Ieri, la Corte D’Appello di Ancona lo ha condannato per quello stupro.
A fronte del ribaltamento della sentenza di primo grado ci sembra importante andare a studiare i passaggi di quella sentenza per comprendere le motivazioni che l’hanno determinata.
Una sentenza, sembra, frutto di un’erronea valutazione del compendio probatorio, dovuto principalmente alla sussistenza di pregiudizi e stereotipi legati al fenomeno che ancora condizionano anche i professionisti.
Una cultura dello stupro ancora fin troppo radicata e presente che produce un’inevitabile rivittimizzazione istituzionale. A fonte di approcci ideologici che continuano a empatizzare con gli imputati e ad aderire acriticamente alle loro versioni, ricercando nelle vittime, nelle loro storie di vita e nelle loro condotte, quote di responsabilità per quanto hanno subito.
La vicenda risale al 2019, quando una ragazza allora minorenne, sceglie, per fare un favore a una sua amica, di farle compagnia in un’uscita a quattro con due ragazzi italiani più grandi di loro. I quattro si recano, a bordo dell’auto dell’imputato, in un luogo appartato. L’amica e un ragazzo si allontanano a piedi. La vittima resta in auto con l’imputato e acconsente a baciarlo. Ne segue un rapporto completo non consensuale. Uno stupro.
Ma leggiamo alcuni passaggi della sentenza di primo grado per comprendere cosa è stato ricostruito e quale è stato il pensiero che ha portato all’assoluzione dell’imputato. Si legge che la ragazza “aveva accettato la proposta dell’amica K. di un’uscita in quattro, in compagnia di due ragazzi italiani pressoché sconosciuti e di appartarsi in tarda serata in automobile in un luogo isolato e scarsamente illuminato […] nonostante fosse evidente a chiunque che fossero giunti in quel posto a tale scopo”.
Più avanti: “Si rammenta che M. per sua stessa ammissione aveva già avuto rapporti sessuali completi e usava la pillola anticoncezionale, dunque era in condizione di immaginarsi possibili sviluppi della situazione”.
A fronte di tali premesse il Tribunale ha ritenuto che “debba ritenersi del tutto plausibile che l’imputato abbia approcciato la ragazza nella piena convinzione del consenso prestato dalla stessa al compimento degli atti sessuali, non solo preliminari ma anche del successivo coito per altro protrattosi per solo quattro o cinque minuti”. E lo ha assolto.
Fa effetto che si sia tenuto conto anche della durata del rapporto nelle valutazioni che seppur non esplicitate, arrivano come un supporto alla minimizzazione di quanto accaduto.
Per il Tribunale di Macerata, inoltre, il fatto che la ragazza non fosse scappata o non avesse urlato (la coppia appartata a pochi metri non sente urla o altri rumori nonostante i finestrini dell’auto fossero aperti) è a sostegno del consenso fornito dalla stessa al compimento dell’atto penetrativo.
Tale ricostruzione, già fortemente pregiudizievole e discutibile, sembra aderire in toto alle dichiarazioni fornite dall’imputato, ritenendo inverosimile o di minor valore, quanto dichiarato dalla vittima in sede di incidente probatorio.
In merito alla ricostruzione, risulterebbe infatti dagli atti, che la coppia appartata fosse a circa 200 metri e non a pochi metri e che la ragazza avesse riferito che i finestrini secondo lei erano chiusi.
La ragazza, nel corso dell’incidente probatorio, avvenuto pochi giorni dopo il fatto, aveva asserito inoltre che, dopo un primo approccio consensuale, aveva detto più volte all’imputato “di fermarsi, di non voler far altro e di voler tornare a casa”.
“La vittima precisava che non era riuscita a urlare in quanto scioccata”. Nella relazione della psicologa del centro per abusi che la segue si legge che M. riferisce “era spaventata, che era rimasta bloccata e che al momento non aveva saputo come reagire. In principio aveva tentato di sfuggire al suo aggressore ma poiché questi era fisicamente più grande e più forte di le era stato difficile sfuggirgli e a un certo punto aveva smesso di resistergli e di questo rimproverava se stessa”.
“Gli ho detto di smettere e gli ho detto che volevo andare a casa. E ho ripetuto più volte NO”.
“Non riusciva a parlare forte e si sentiva paralizzata”. Il consenso della minore, sarebbe pertanto ravvisabile, a parere del Tribunale di Macerata, a fronte delle pregresse esperienze sessuali avute dalla ragazza, in virtù della scelta della stessa di appartarsi e di baciare l’imputato e dalla valutazione, che suona come un giudizio, delle reazioni che la ragazza avrebbe o non avrebbe avuto nel corso dello (breve) stupro. Un’analisi che appare responsabilizzare la ragazza per quanto accaduto, a fronte delle sue esperienze e delle sue scelte iniziali (essersi appartata) e pertanto a rischio di colludere con le condotte dell’imputato.
Sembra che la sentenza che assolveva l’imputato, anche tenendo conto di quelle che sono state le reazioni della vittima, ricostruendole però sulla base del riferito dell’imputato e di seguito svalutandone l’impatto “a seguito del rapporto con l’imputato, che sicuramente non era avvenuto secondo le sue aspettative e forse in maniere troppo fugace e priva di tatto”, riconducendolo a un’insoddisfazione circa le modalità con le quali era avvenuto un rapporto consensuale, non tiene nemmeno conto di quanto rilevato da numerose ricerche internazionali sul tema.
La reazione che le vittime di uno stupro hanno più frequentemente è quella del così detto freezing, che prova una sorta di “congelamento” emotivo con conseguente blocco fisico, per cui la vittima rimane inerme di fronte all’aggressione.
Un tema centrale appare quindi in questa vicenda quello del consenso, che, come previsto dalla Convenzione di Istanbul, in particolare nell’art. 36, fa riferimento allo stupro come un atto “non consensuale”, pertanto il consenso “deve essere dato volontariamente quale libera manifestazione della libertà della persona e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto”.
A fronte di questa prima sentenza assolutoria appare ancora fondamentale parlare di consenso, riconoscendo il diritto di autodeterminazione delle donne in tutte le fasi del rapporto sessuale e attribuendo centralità alla volontà delle donne nella sfera sessuale.