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Cambiamenti climatici

Perché con la crisi climatica i black out elettrici saranno la normalità

Siccità, ondate di calore, eventi estremi: i black out elettrici d’emergenza e programmati saranno la nuova normalità con la crisi climatica. Le fonti di energia rinnovabile possono aiutare a risolvere il problema ma il nostro paese è ancora indietro.
A cura di Fabio Deotto
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C’è un esercizio mentale che può tornare utile per capire la portata  trasversale della crisi climatica: pensate a tutte le cose che fate durante una giornata qualsiasi e che date per scontate – quello che comprate, i servizi che utilizzate, le abitudini che avete sedimentato –,  quindi provate a immaginare come sarebbe la vostra vita senza. In alcuni casi l’esito è meno traumatico di quanto si potrebbe pensare: se non potessimo più utilizzare un veicolo privato in città e fossimo costretti a usare i mezzi, probabilmente non faremmo una vita tanto diversa; se il bando degli allevamenti intensivi ci togliesse la possibilità di acquistare carne a prezzi stracciati, probabilmente ne ridurremo il consumo e cambieremmo la nostra dieta senza troppe lagne; se invece ci venisse imposto un limite alla quantità d’acqua che possiamo utilizzare in un giorno la portata del cambiamento ci risulterebbe più indigesta. E ancora più traumatico risulterebbe dover rinunciare all’energia elettrica in casa propria per intere ore durante la giornata; cosa che già oggi, in alcuni luoghi, avviene con cadenza regolare.

Dall’inizio dell’anno, per dire, a Johannesburg l’energia elettrica viene regolarmente interrotta per più ore ogni giorno. Non si tratta di cedimenti improvvisi della rete elettrica, bensì di blackout programmati per far fronte alle esigenze di approvvigionamento in un’estate insolitamente calda. Solo nella prima settimana di febbraio, per dire, l’elettricità è stata interrotta per quasi dodici ore ogni giorno, a intervalli di due o più ore. Parte della colpa è sicuramente di un’infrastruttura elettrica inadeguata, e in Sudafrica i blackout non sono poi così rari, ma mai nella storia del paese le interruzioni del servizio erano diventate una faccenda quotidiana. Com’è facilmente intuibile, la problematica non riguarda il solo Sudafrica: in diverse città del pianeta l’approvvigionamento elettrico sta diventando sempre più difficile da garantire in condizioni di temperature troppo elevate (o troppo basse). E ancora una volta, a spostare il problema oltre la soglia di guardia, sono gli effetti del riscaldamento globale.

La nuova normalità dei blackout strategici

Se andiamo a controllare la frequenza delle interruzioni non programmate di servizio elettrico nelle varie nazioni del mondo, è facile individuare un trend di netta crescita. Le motivazioni sono varie: l’aumento della popolazione mondiale, la presenza sempre più ubiqua di dispositivi elettronici connessi, la crescita e la contestuale digitalizzazione dei consumi; tutti fattori che concorrono a rendere sempre più vulnerabili delle reti elettriche progettate per carichi di gran lunga inferiori. A pesare su tutto questo interviene naturalmente la crisi energetica legata alla guerra in Ucraina. Ma c’è un altro aspetto importante, che è destinato a pesare sempre di più di qui ai prossimi anni, ossia i cambiamenti climatici, sia in forma di eventi meterologici estremi, sia attraverso l’aumento dei consumi per far fronte alle stagioni più fredde e a quelle più calde.

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Prendiamo il caso di uno dei paesi con il maggiore consumo elettrico pro-capite: tra il 2011 e il 2021, negli USA le interruzioni di servizio elettrico che hanno interessato centri di oltre 50.000 abitanti sono aumentate del 64%, mentre la percentuale dei blackout legati alle condizioni climatiche è aumentato del 78%. Ondate di calore, tempeste, uragani e bufere di neve sono tra le cause più ricorrenti. Per farsi un’idea di quanto la situazione sia precaria è sufficiente ricordare come nel febbraio del 2021 una tempesta di neve abbia letteralmente paralizzato il Texas, causando 21 morti e lasciando al buio quasi 3 milioni di persone.

Ed è curioso notare come, in quei giorni, alcuni esponenti della destra conservatrice texana cercarono di dare la colpa all’integrazione di fonti rinnovabili nella rete energetica. Il ritornello è noto: poiché le fonti rinnovabili hanno un andamento intermittente (l’energia solare può essere sfruttata solo di giorno; l’idroelettrico fluttua a seconda dalla portata dei corsi d’acqua; l’eolico dipende dalla presenza di vento), non sono affidabili per garantire resilienza a una rete elettrica in caso di guasti o sovraccarico. Peccato sia un ritornello falso.

A parte il fatto che i blackout texani sono stati causati dalla neve e dai forti venti, che hanno danneggiato l’infrastruttura della rete elettrica statale, e dal ghiaccio che ha mandato in tilt le centrali a gas; la realtà è che, considerando che gli eventi meteorologici estremi sono in costante aumento per via della crisi climatica, e che il consumo elettrico è destinato ad aumentare (in particolare in estate, con il previsto aumento dei condizionatori) l’integrazione delle fonti rinnovabili nel sistema elettrico comporta più opportunità che limiti.

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Le rinnovabili possono rendere una rete più resiliente

A Johannesburg e nelle altre città sudafricane l’emergenza sta lentamente rientrando, ma la situazione è lungi dall’essere risolta; la fitta sequenza di blackout programmati ha creato ogni genere di problema, rendendo palese come le città non fossero preparate a gestire delle interruzioni di servizio continue: incidenti automobilistici, saccheggi, sospensioni del servizio idrico, intere forniture di cibo marcite, agenzie funebri costrette a fare i doppi turni perché le camere mortuarie non erano più in grado di assicurare la conservazione dei cadaveri.

In Sudafrica oggi le energie rinnovabili contribuiscono solo per l’11% alla produzione energetica del paese, questo nonostante esista da dieci anni un programma statale ideato precisamente per aumentare la produzione rinnovabile di 10.000 megawatt. Il problema è che dal 2015 molti progetti di energia pulita sono al palo, in parte anche per via delle pressioni di lobby del carbone e del nucleare molto influenti. Il risultato è che oggi in alcune città  i blackout sono diventati uno strumento di ordinaria amministrazione.

Di qui ai prossimi anni, in Sudafrica come in Texas come in molti altri paesi che stanno attraversando un processo di elettrificazione crescente, le reti elettriche dovranno essere irrobustite e ammodernate. Ma non basterà, come alcuni pensano, approntare sistemi anti-danno e generatori d’emergenza, è necessario un ripensamento del sistema di approvvigionamento energetico. Ed è qui che le rinnovabili avranno un ruolo decisivo.

Una ricerca condotta nel 2021 da Darmouth Engineering ha rivelato che l’integrazione di fonti rinnovabili può contribuire a rendere una rete elettrica più resiliente, questo perché le fonti di energia rinnovabile per certi versi sono meno vulnerabili ad alcune tipologie di guasto (durante il blackout texano, i sistemi di produzione solare sono quelli che hanno meglio attutito il colpo), ma anche perché per adattare una rete elettrica alla gestione di fonti rinnovabili è necessario apportare una serie di trasformazioni che alla fine renderebbero l’intero sistema meno vulnerabile alle interruzioni di servizio.

Nello specifico, sarà necessario un passaggio da una generazione elettrica centralizzata (come nel caso delle centrali a carbone) a una più distribuita, e da reti di distribuzione radiali a reti a maglia. In parole più semplici questo significa che le reti elettriche dovranno diventare più decentralizzate e più interconnesse, così da favorire la penetrazione di fonti di energia a intensità variabile (come le rinnovabili) e fornire soluzioni di distribuzione alternative in caso di guasti o interruzioni di una componente della rete. Attraverso l’integrazione di tecnologie smartgrid e microgrid sarà possibile ottimizzare la produzione e distribuzione di energia elettrica in modo da renderla adattabile a condizioni anche critiche e disporre reti e generatori locali che possano essere sfruttati per sopperire all’eventuale collasso della rete generale.

L’eterno ritardo italiano

Lo scorso 29 dicembre, il Ministero per l’Ambiente e la Sicurezza Energetica ha pubblicato il Piano Nazionale di Adattamento al Cambiamento Climatico (PNACC), uno strumento che sulla carta sarebbe fondamentale per “contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza”. L’Italia, l’abbiamo detto più volte, è un paese particolarmente vulnerabile alle ricadute della crisi climatica, per questo i continui ritardi che dal 2016 ad oggi hanno bloccato l’attuazione di questo piano sono preoccupanti (basti pensare alle ultime tragedie legate al dissesto idrogeologico).

Com’è prevedibile, il PNACC contempla anche dell’ammodernamento della rete elettrica; nello specifico: si parla di sfruttare 3,6 miliardi provenienti dal PNRR per 22 progetti smartgrid, il tutto nel contesto di un’attesa crescita della produzione rinnovabile, che però al momento non c’è.

È notizia di questo mercoledì che nel 2022 la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è addirittura calata, e non di poco. Parliamo del 13% in meno rispetto al 2021: la colpa è in parte della drammatica siccità dello scorso anno, che ha portato l’idroelettrico a registrare un calo del 37,7%, certo, ma il problema riguarda la crescita troppo lenta della capacità rinnovabile installata, che nel 2022 ha registrato un incremento di soli 3 gigawatt, assai meno dei 7 necessari a raggiungere l’obiettivo europeo di 70 GW installati entro il 2030.

Intanto che il governo ancora tarda a presentare l’atteso decreto Fer 2, che dovrebbe introdurre incentivi per l’installazione di nuovi impianti rinnovabili, l’Italia si prepara all’arrivo di un’altra stagione siccitosa, a un’estate potenzialmente ancora più calda delle precedenti, e a una domanda energetica in continua crescita. I blackout programmati di Johannesburg potrebbero essere meno lontani di quanto ci piace pensare.

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Fabio Deotto è scrittore e giornalista. Laureato in biotecnologie, scrive articoli e approfondimenti per riviste nazionali e internazionali, concentrandosi in particolare sull’intersezione tra scienza e cultura. Ha pubblicato i romanzi Condominio R39 (Einaudi, 2014), Un attimo prima (Einaudi, 2017) e il saggio-reportage sul cambiamento climatico “L’altro mondo” (Bompiani, 2021).  Insegna scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Vive e lavora a Milano.
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