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Parla l’agente costretto dai suoi superiori al test per l’omosessualità: “Mi hanno umiliato e isolato”

Paolo, nome di fantasia, ha raccontato a Fanpage.it come è stato perseguitato per mesi dai funzionari del carcere in cui lavorava. Dalle accuse rivelatesi fasulle alla sospensione dal servizio, fino all’esame psichiatrico al CMO di Milano per “chiarire la sua personalità”. Ha ottenuto 10mila euro di risarcimento dal TAR del Piemonte.
A cura di Gianluca Orrù
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L'inferno di Paolo (nome di fantasia) comincia con una chiacchierata con un ispettore, un suo collega, e si trasforma in una "caccia all'omosessuale", in cui viene più volte accusato e invitato a "confessare" la sua omosessualità, a "chiarire con se stesso, perché hai moglie e figlio". È lui a raccontare a Fanpage.it quello che ha dovuto sopportare per mesi, dopo che il suo caso è diventato noto e lui ha ottenuto un indennizzo di 10 mila euro per “danno morale”.

"Un giorno mentre ero fuori, un ispettore mi chiama per invitarmi a fare una passeggiata insieme a lui e io ho accettato senza problemi. Durante questa passeggiata si parlava del più e del meno, d'un tratto comincia a fare delle domande specifiche, tipo ‘ma a casa tutto bene?' e io rispondevo che andava tutto bene. Vedendo che non rispondevo come lui voleva, mi chiede se ero omosessuale, se mi piacevano gli uomini. Io rispondo di no e che quella domanda era assurda, perché anche se lo fossi stato non mi sarei vergognato a dirlo in quanto non c'è nessun tipo di problema o quant'altro, e lui lì per lì finisce la conversazione con un sorrisino", ci racconta.

E ancora: "Il giorno seguente, dopo due giorni, mi chiama infuriato il comandante e mi accompagnano nell'ufficio dell'ispettore, come un criminale. Mi chiudono nell'ufficio dell'ispettore e mi dicono che dei detenuti hanno detto che io gli avevo fatto delle avances, cosa che non ho mai fatto".

"Ho subito negato perché non ho mai fatto queste cose. Poi iniziano dicendo ‘Dillo, dillo che sei anche omosessuale e attratto dagli uomini' e io rispondevo ‘ma perché devo dire una cosa non vera?' e lui insisteva con battutine, con risatine". Si guardavano tra loro e io ero lì sotto pressione e a un certo punto ho detto ‘Scrivete ciò che volete perché io non reggo questa situazione'. Dopo un po' vado dal direttore, dove c'era già anche il dottore, e in questa stanza si ripete un altro colloquio in cui insistono per farmi dire che sono omosessuale; io rispondevo sempre che non ero omosessuale, ma che se lo fossi stato non ci sarebbe stato niente di male. E loro mi mandano all'ospedale militare per farmi visitare, io protesto ma loro mi mandano a fare questa ‘serie di colloqui' come dicevano loro".

Paolo viene sospeso, in attesa di un parere dalla CMO di Milano, l'ospedale militare che dovrà verificare il suo stato mentale e certificare se è ancora abile al servizio. L'attesa dura due mesi, durante i quali Paolo non può lavorare. Nel frattempo il provvedimento disciplinare per le avances ai carcerati viene archiviato, Paolo non ha mai fatto quelle cose e i detenuti negano di averle mai sentite.

"Io ero demoralizzato – prosegue a Fanpage.it – perché non lavoravo ed ero solo in un posto dove non potevo chiedere aiuto a nessuno. Quando sono stato da solo sono stato emarginato, persone che fino al giorno prima scherzavano con me, da un giorno all'altro non mi guardavano più in faccia. Ero nel gruppo whatsapp dei miei colleghi, ma anche da lì vengo contattato dall'amministratore del gruppo che mi invita ad uscire in quanto persona non più gradita".

Arriva il giorno dell'ospedale militare, il giorno in cui Paolo va a Milano per farsi visitare. "All'ospedale erano imbarazzati per questa pratica che in tanti anni non avevano mai visto. Nella documentazione allegata all'ospedale militare il comandante scriveva che veniva richiesto di far chiarezza sulla mia personalità".

Dall'ospedale certificano immediatamente Paolo abile al servizio. Però il clima nel carcere ormai è compromesso. "Non ritornai a fare i servizi che facevo una volta, ma bensì i servizi esterni, non a contatto coi detenuti. Isolato, emarginato. Mi sentivo male, nessuno che mi parlava, mangiavo da solo a lavoro". Dice di essersi lamentato col comandante "che a voce mi dice che nessuno aveva più voglia di lavorare con me".

Poi cominciano i bigliettini con su scritto ‘finocchio', le risatine, gli insulti sottovoce, i colpi di tosse che mascherano la parola ‘frocio'. "Non mi parlavano direttamente capisci?, ma io sono abbastanza maturo, abbastanza forte da sopportare queste cose".

Adesso Paolo è stato trasferito in un'altra struttura e ha ottenuto 10mila euro di risarcimento per danni morali. "Ringrazio l'amministrazione carceraria che è stata molto attenta alla mia vicenda. Ha archiviato il provvedimento disciplinare assurdo, con quei detenuti che mi avevano accusato, ma non perdono quei funzionari, quegli ispettori, quei dirigenti che lavorano presso l'amministrazione e che hanno causato un grave danno all'immagine dell'amministrazione carceraria".

"Per fortuna queste persone qua hanno trovato me, che sono una persona forte, che sono riuscito ad andare avanti, metti il caso che incontravano una persona debole. Cosa avrebbe fatto? Come avrebbe risposto a questa azione se questa persona X avrebbe commesso un gesto inconsulto?"

Quindi conclude: "Voglio ringraziare per tutto questo il sindacato OSAPP e Gerardo Romano, che mi ha seguito fin dall'inizio, mi ha supportato e mi ha aiutato a denunciare, trovando poi il supporto dell'avvocato Preve. È stata lunga e molto dura".

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