Omicidio Silingardi, identificato l’assassino dopo 13 anni: la svolta grazie a un’impronta palmare

Tredici anni di indagini, piste seguite e poi abbandonate, tecnologie investigative sempre più sofisticate. Alla fine, un'impronta palmare parziale ha svelato quello che sembrava destinato a rimanere un mistero: l'identità del presunto responsabile dell'omicidio di Aldo Silingardi, il pensionato di 78 anni barbaramente ucciso nella sua casa di campagna a Lemizzone di Correggio, in Emilia Romagna, il 9 luglio 2012.
Gli inquirenti puntano il dito contro un uomo di 37 anni, di origini marocchine, che all'epoca viveva nei pressi dell'abitazione della vittima. Secondo la ricostruzione della Procura, potrebbe essersi trattato di una rapina degenerata in tragedia: scoperto dall'anziano mentre tentava di rubare, l'uomo avrebbe reagito con estrema violenza, afferrando la gamba spezzata di un tavolo e colpendo ripetutamente Silingardi fino a fracassargli il cranio.
Per anni gli investigatori avevano seguito con insistenza la pista familiare. Circa un anno e mezzo fa, la Procura aveva formalmente indagato due fratelli e un nipote dell'anziano ma tale ipotesi è stata archiviata lasciando spazio a una ricostruzione completamente diversa dei fatti.
Il corpo senza vita di Silingardi venne scoperto intorno alle 19 nella cucina della sua abitazione, dal fratello e dal genero che avevano passato la giornata a lavorare nei campi. L'omicidio era avvenuto un paio di ore prima, intorno alle 17, in una zona isolata dove nessuno aveva visto né sentito nulla. Il pensionato, ex muratore e agricoltore, aveva l'abitudine di lasciare la porta aperta. Dall'abitazione risultava sparito il portafoglio, particolare che inizialmente aveva fatto pensare a una messinscena per depistare le indagini.
L'elemento chiave è stato fin dall'inizio l'impronta palmare parziale trovata sull'arma del delitto. Per tredici anni i Ris hanno condotto verifiche e confronti incrociati con le banche dati, senza risultati. Poi, lo scorso 10 aprile, la svolta: grazie a nuove tecnologie investigative – le stesse utilizzate per riaprire il caso di Garlasco – l'impronta ha finalmente trovato un nome. Nel frattempo, l'indagato era stato fotosegnalato per altre vicende giudiziarie, finendo così nei database delle forze dell'ordine.
Il sostituto procuratore Maria Rita Pantani, che ha coordinato il Nucleo investigativo dei carabinieri di Reggio Emilia, ha inizialmente richiesto la custodia cautelare in carcere per l'uomo, ottenendo però un diniego dal giudice per le indagini preliminari. Dopo il ricorso al Tribunale del Riesame, il quadro è cambiato: questa volta la misura è stata accolta, considerati i concreti pericoli di reiterazione del reato e di fuga, oltre all'elevata pericolosità sociale dell'indagato. È emerso infatti che si tratta di una persona con precedenti per violenza e con problemi di dipendenza dall'alcol.
La misura cautelare diventerà definitiva alla scadenza dei termini per un eventuale ricorso in Cassazione. Dopo oltre un decennio di attesa, la giustizia potrebbe finalmente fare il suo corso in uno dei cold case più complessi della cronaca reggiana.