Omicidio Bergamini, inizia il processo d’appello per l’ex fidanzata: “La certezza è che Denis non si è ucciso”

Sono passati quasi 36 anni dalla morte di Denis Bergamini, il calciatore del Cosenza ucciso il 18 novembre 1989 a Roseto Capo Spulico. Il 1° ottobre 2024 l'ex fidanzata del 27enne, Isabella Internò, è stata condannata in primo grado a 16 anni di carcere per l'omicidio. Ma la vicenda giudiziaria prosegue.
Oggi, venerdì 24 ottobre, si tornerà in aula per la prima udienza del processo d'appello che sarà celebrata a Catanzaro. La Corte, presieduta da Piero Santese, dovrà confermare o ribaltare la precedente decisione. I difensori di Internò, i legali Angelo Pugliese e Cataldo Intrieri, chiedono l’assoluzione.
La Procura di Castrovillari invece, nella figura del pubblico ministero Alessandro D’Alessio, si oppone al riconoscimento delle attenuanti generiche come prevalenti sulle aggravanti. Oggi dovrebbe essere presente anche Donata Bergamini, sorella di Denis, che non ha mai smesso di chiedere verità e giustizia per il fratello.
Accanto a lei i suoi avvocati, Fabio Anselmo, Alessandra Pisa e Silvia Galeone. "La sentenza di primo grado è corposa ed estremamente argomentata, molto difficile da smontare", ha spiegato Anselmo a Fanpage.it.
"Per me e i colleghi è stato un caso molto difficile, una mission impossible. L'abbiamo preso in mano solo 10 anni fa ma è da più di 30 che va avanti. Riuscire a far riaprire le indagini e arrivare al processo, che è durato 3 anni, è stata una "maratona" importante con testimonianze rese fuori sede, situazioni complicate da gestire e colpi di scena", ha ricordato.
Il legale aggiunge: "Un processo impegnativo e sofferto per Donata e i familiari di Denis ma, allo stesso tempo, da un punto di vista professionale, anche bellissimo".
La Corte, presieduta da Paola Lucente, ha ritenuto credibile la tesi dell’omicidio premeditato, escludendo però l’aggravante del mezzo venefico e della crudeltà e riconoscendo le attenuanti generiche. "Il dibattimento è stato gestito dalla Corte d'Assise di Cosenza in maniera perfetta nella sua difficoltà tecnica ed emotiva", osserva ancora Anselmo.
"Tutti abbiamo lavorato per la verità e una certezza l'abbiamo già raggiunta, quella che Denis non si è suicidato, ma che è stato ucciso. Anche se bisogna ricordare che Isabella Internò va considerata non colpevole fino a che la sentenza non passerà in giudicato".
Isabella Internò, considerata dall'accusa la mandante dell'omicidio, è stata ritenuta colpevole in concorso con ignoti che avrebbero avuto una parte attiva nel delitto.
Su questo aspetto Anselmo racconta:"Durante questi anni uno degli eventi più clamorosi è stato il fatto di poter acquisire la testimonianza, impaurita e reticente, ma granitica di Forte (Francesco, ndr), che si è fatto avanti con Donata e poi se n'è pentito amaramente".
"Lui confermò la presenza di due uomini sul luogo in cui fu trovato il corpo di Denis, la statale 106 Jonica, che portarono via Isabella Internò, che si agitava disperata, e che la caricarono in macchina".
Le prime indagini sul caso si erano chiuse con l'ipotesi del suicidio. L'ex fidanzata raccontò che Denis si era tolto la vita "tuffandosi" sotto un camion. Tuttavia, grazie agli sforzi di Donata e della famiglia del 27enne, il caso era stato riaperto e gli inquirenti avevano seguito la tesi dell'omicidio.
I depistaggi e le resistenze incontrate dagli investigatori hanno avuto un peso importante in questi quasi 36 anni. "L'omertà purtroppo è diffusa, non solo in Calabria. Un'omertà simile l'abbiamo trovata anche nel caso Aldrovandi a Ferrara, o durante il processo Cucchi, quando non c'era di certo la fila per testimoniare", commenta Anselmo.
"Diciamo che non ho trovato una situazione diversa a Cosenza. L'accostamento ad ambienti malavitosi è stata strumentale per la difesa ma ha influito sicuramente sulla serenità di parecchi testimoni, calabresi e non".