Mostro di Firenze, il Dna svela chi era il padre biologico di Natalino Mele a quasi 60 anni dal primo delitto

C'è un'importante novità nel complesso caso del Mostro di Firenze, il serial killer che tra il 1968 e il 1985 fu autore di otto duplici omicidi e del quale ancora oggi non si conosce l'identità.
Stando a quanto emerso da un accertamento genetico disposto dalla Procura, il padre biologico di Natalino, il bimbo di 6 anni e mezzo che nell'estate del '68 scampò ai colpi dell'assassino che uccise la madre, Barbara Locci, e l'amante, Antonio Lo Bianco, non sarebbe Stefano Mele, il manovale, marito della vittima, condannato per quel delitto, ma Giovanni Vinci.
L'uomo era membro del "clan" di sardi che dal 1982 entrò nel mirino delle indagini, con l'arresto del fratello Francesco Vinci prima, e poi con i sospetti sull'altro fratello, Salvatore. Giovanni non è mai stato coinvolto nell'inchiesta.
Ora però le pubblico ministero titolari di un fascicolo riaperto, Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, starebbero lavorando su questo aspetto. La notizia è riportata oggi dal quotidiano La Nazione.
Giovanni Vinci è morto diversi anni fa ma le evidenze scientifiche potrebbero portare a una nuova svolta nel caso. Natalino Mele ha avuto la notifica della Procura nei giorni scorsi e racconta di essere rimasto spaesato.
"Quest'uomo non l'ho mai neanche conosciuto", ha spiegato. A svolgere l'esame del Dna è stato il genetista Ugo Ricci, l'esperto che nel caso Garlasco ha trovato il Dna di Andrea Sempio sulle unghie di Chiara Poggi.
Nel 2018 l'inchiesta che all'epoca vedeva indagato l'ex legionario di Prato Giampiero Vigilanti, conclusasi con l'archiviazione, i carabinieri del Ros prelevarono segretamente due profili di Dna.
Quello di un figlio di Salvatore Vinci, che si è rivelato utile ad attribuire al sardo il possesso di uno straccio che era stato vicino a un altro "famoso" pezzo di stoffa (andato perduto), che recava tracce di sangue e polvere da sparo, rinvenuto in casa sua all'indomani del delitto di Vicchio del 1984. E quello di Natalino.
Per la comparazione il genetista Ricci utilizzato anche il profilo da lui estratto dalla recente riesumazione del cadavere di Francesco Vinci.
Non è mai stato chiarito chi e perché risparmiò il bambino, e come Natalino, in quella notte di cui dice di non ricordare nulla, arrivò a una casa distante un paio di chilometri dal luogo del delitto, al buio, in una strada ciottolosa di campagna.
Questa novità potrà forse dare anche un nuovo impulso anche alla ricerca della pistola, mai ritrovata, che uccise la notte del 1968 e si rimise in azione dal 1974 al 1985 per ammazzare altre sette coppie. L'arma sarebbe "passata di mano", come si legge nella sentenza che condannò in primo grado Pietro Pacciani.
Forse un modo di salvare un verdetto ormai passato in giudicato, quello che stabilì la responsabilità del marito tradito, Stefano Mele, nel 1968, al quale vennero inflitti 13 anni beneficiando delle attenuanti del delitto d'onore, e trovare un responsabile per il resto dei delitti.
Anzi, i responsabili, visto che a fianco a Pacciani, condannato, assolto e poi morto prima dell'appello bis, si collocheranno anche i compagni di merende Giancarlo Lotti e Mario Vanni.
Oggi i protagonisti di questo intricato caso sono tutti morti, ma Paolo Vanni, il nipote del postino di San Casciano, ha chiesto la revisione di quella condanna, istanza su cui i giudici di Genova non si sono ancora pronunciati.