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Maryam, Mosab e gli altri: 17 bimbi di Gaza arrivati in Italia per le cure mediche, troppi restano indietro

Diciassette bambini palestinesi sono arrivati in Italia per ricevere cure mediche, saranno accolti in vari ospedali italiani. È la faccia buona del sesterzio, il suo rovescio è rappresentato dal fatto che sono troppo pochi. Tanti quelli che restano indietro.
A cura di Mariangela Pira
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Evacuazione di palestinesi
Evacuazione di palestinesi

Diciassette bambini palestinesi sono arrivati in Italia per ricevere cure mediche. Saranno accolti in vari ospedali italiani, che hanno dato la loro disponibilità a curarli a seconda delle diverse patologie: tra questi l’Ospedale Bambino Gesù, il Policlinico Gemelli e il Policlinico Umberto I di Roma, il Santobono e dei Colli di Napoli, l’Ospedale Regina Margherita di Torino, l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova, il Gaslini di Genova, il Niguarda a Milano, l’Ospedale di Perugia e il San Gerardo di Monza.

È la faccia buona del sesterzio – 232 i bimbi finora accolti nel nostro Paese, davanti a noi per accoglienza ci sono Qatar, Arabia Saudita ed Egitto – il suo rovescio è rappresentato dal fatto che sono troppo pochi. Tanti invece quelli che restano indietro.

Come Retal Raed Mohammad Hassan Hania. Sono in tanti ad avere perorato la sua causa. Ma all’ultimo momento, quando sembrava tutto fatto ed era nella lista del Ministero degli Affari Esteri per essere curata in Italia, è stata rimandata indietro da Israele. Per Tel Aviv la famiglia è legata a Hamas e il Cogat, il permesso per lasciare il Paese, le è stato rifiutato. Retal ha poche speranze in questo momento, non la faranno mai uscire da Gaza. È una neonata, nata il 10 ottobre del 2024. Leggendo il referral del medico dell’Abd Alazeez Al Ranteesi Hospital si legge: sindrome epilettica genetica. Anche la piccola Salma, 4 mesi, mai evacuata e più volte spinta non sembra destinata al diritto delle cure. Atrofia cerebrale per lei, con crisi epilettiche.

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Vale la pena ricordare come funziona una evacuazione. Arriva un bimbo o una bimba in ospedale a Gaza, e si valuta se può essere curato o meno in loco. Se no, il medico scrive un cosiddetto referral (foglio di via) che deve essere vagliato dal Ministero della Sanità a Gaza. Se anche questo comitato dice sì, viene avvisato il Who, il quale – a sua volta – raccoglie le richieste dei diversi Paesi europei (Spagna e Romania tra coloro che richiedono subito dopo di noi, ma molto staccati, gli altri praticamente assenti) per accogliere il piccolo paziente. La parola finale spetta a Israele. I controlli del Mossad impiegano fino a un mese e passa per emettere, oppure no, il Cogat.

Partiamo dal presupposto che curare alcuni bambini è meglio di niente. Perché di niente si tratta se si resta imprigionati a Gaza. Anche l’Italia ne porta pochi rispetto all’urgenza che c’è ma altri Paesi europei fanno molto meno. La Germania, per dire, si è presa cura quattro asini provenienti da Gaza arrivati in uno zoo nella città tedesca di Oppenheim, ma non evacua bambini. “Hanno lasciato alle spalle fame, miseria, pestaggi e sfruttamento”, si legge nel quotidiano tedesco Frankfruter Allgemeine Zeitung. Il riferimento è agli asini.

Anche la Romania fa il suo. Lì andrà la piccola Habiba, nata con una cisti ematica di proporzioni enormi, quanto tutta la sua schiena, e che metteva a serio rischio la sua vita.  Alla piccola Salma, 7 anni, è andata meglio.  È arrivata al Santobono di Napoli con la sua famiglia. Si era ustionata nello stesso periodo di un altro bimbo, diventato virale sui social a causa delle ferite, Majd, evacuato in Giordania e in questo momento sottoposto a cure mediche.

Tra le bambine arrivate in Italia anche Maryam Abu Mustafa: magrissima, per non dire scheletrica, soffre di una grave disabilità neurologica, causata da una improvvisa febbre quando aveva sei mesi, che l’ha portata ad avere una atrofia cerebrale e crisi epilettiche focali complesse.

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I numeri, tratti dall’ultimo report del primo dicembre 2025 Ocha intitolato Gaza Humanitarian Response/ Situation Report No. 36, descrivono una situazione gravissima. Secondo l’OMS, da ottobre 2023 sono stati evacuati oltre 10.600 pazienti insieme a più di 12.000 accompagnatori. Oltre 16500 pazienti, tra cui 4000 bambini, necessitano ancora di evacuazione medica, poiché le cure avanzate di cui hanno bisogno non sono disponibili nella Striscia.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiesto un sostegno aggiuntivo, nonché l’apertura di tutte le rotte di evacuazione, in particolare verso la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e di accelerare i movimenti dei convogli di evacuazione medica ai valichi. Diverse fonti in loco riferiscono a Fanpage che “Unrwa non può fornire nulla al momento a causa di problemi con Israele riguardanti la continuazione delle sue operazioni a Gaza, perciò tutti i suoi servizi sono sospesi al momento”.

“Le organizzazioni che di fatto lavorano a Gaza oggi sono Unicef e il World Food Programme – continua un’altra fonte – la prima si occupa di supporto all’istruzione e di assistenza alle famiglie: tre coperte a persona, una sorta di riparo per le tende e un kit per l’igiene o derrate alimentari”. E in questi giorni a Gaza torna la pioggia. Fino a venerdì 12 dicembre è previsto il diluvio e avremo davanti ai nostri occhi, ancora una volta, le immagini di bambini e donne bagnate fradicie che abbiano la tenda o che – come la gran parte di loro – non l’abbiano.

Il World Food Programme distribuisce cibo, ma la qualità è molto povera, specialmente con le persone che muoiono di fame. I comitati arabi, inclusi Egitto e Qatar, si occupano della distribuzione di cibo, specialmente della farina. Hanno finito a Rafah, adesso vanno verso Khan Younis e si sposteranno al nord con Nuseirat e Deir al-Balah. Anche con queste distribuzioni, per giunta limitate, ci sono delle necessità la cui risposta è ben lungi dall’essere sufficiente. In particolare tende e materassi.

Una fonte racconta a Fanpage che almeno il 60% della popolazione della Striscia dorme direttamente a terra. “Inoltre si distribuisce molto poco per i bambini, contando quanto sia costoso il prezzo di pannolini e latte”, riferisce un’altra fonte che dà supporto a un gruppo di volontarie italiane per la raccolta dei documenti sperando in una evacuazione.

L’altra questione grave riguarda i minori non accompagnati, spesso orfani, dentro Gaza, con un genitore o in assenza i parenti fuori dalla Striscia. A questi bimbi non è permesso il ricongiungimento familiare. Bambini fondamentalmente abbandonati, pur avendo dei parenti o un genitore vivo. Come il caso dei tre orfani abbandonati nel Nord della Striscia con la mamma evacuata in Egitto. Sono Fadi, Rital e Noman. Quest’ultimo, il più grande, ha solo dieci anni. Sono abbandonati fondamentalmente agli zii, non proprio affidabili: i Paesi, le organizzazioni, dovrebbero aiutare questi bambini e chi si trova nelle loro condizioni a ricongiungersi con le loro famiglie.

C’è anche un bambino di 7 anni che ora vive a Monza, Abdelrahman Mohammad Medhat. Sua madre è stata evacuata in Qatar con sua sorellina e una nipote (grave), lui in Italia. Arrivato con volo militare oltre un anno e mezzo fa con la nonna, da allora non vede sua madre. Abdel aveva un grave trauma cranico con frattura infossata del cranio, a causa di un bombardamento, con grave perdita dei tessuti molli del cuoio capelluto. E’ stato curato al San Gerardo di Monza.

Iqra, una volontaria che lavora a Gaza e si occupa di portare sostegno alle famiglie più in difficoltà afferma via chat e video call che “le evacuazioni mediche dovrebbero essere la priorità, essere più frequenti, a favore delle persone in condizioni particolarmente critiche: si evacuano i bambini ma ci sono anziani in condizioni terribili. Vedo molte persone morire di fronte ai miei occhi per le ferite riportate, per il cancro e per altre malattie”.

Ritardi nelle cure e nelle evacuazioni portano ad amputazioni, tumori non recuperabili e situazioni di malnutrizione che finiscono come con il piccolo Mosab che è arrivato a Verona troppo tardi.

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È forse uno dei casi di deperimento fisico più visibili. È in coma e completamente paralizzato: un mese avrebbe fatto la differenza. Chiediamo al papà, che si trova con lui, se possiamo pubblicare le foto, oscurandogli il viso. Risponde via Whatsapp: “Non voglio si nasconda il volto e il nome, affinché il mondo intero possa conoscere la nostra tragedia e la ingiustizia che ci è stata inflitta”.

Perché non fare evacuare bambini in condizioni come quelle di Mosab significa una sola cosa: morte certa.

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Giornalista professionista. Conduttrice e Reporter di SkyTg24. Su Linkedin cura la rubrica #3fattori, con cui la mattina spiega con linguaggio semplice gli elementi che caratterizzeranno la giornata finanziaria, economica e geopolitica. Ha lavorato a Class Cnbc e Milano Finanza. Qui ha curato le finestre sui mercati per il Tg5 e La7 ed è stata responsabile del Desk China. E’ stata contributor del South China Morning Post e di Caixin.com. Per il Ministero degli Affari Esteri è stata conduttrice di Esteri News Dossier, progetto per cui ha viaggiato in Afghanistan, Iraq, Libano, Israele, Palestina. Continua a occuparsi di cooperazione con Terre des Hommes. Ha iniziato la sua carriera all'Ansa di New York, seguendo alcuni processi e la prima Inauguration Week del Presidente George Bush. Ha scritto con Baldini&Castoldi "Fozza Cina" e con Chiarelettere nel 2020 l'ebook "Cronaca di un disastro non annunciato" e il libro "Anno Zero d.C."
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