L’ex mafioso Gaspare Mutolo: “Vi racconto quando nel 1975 dovevamo sequestrare Silvio Berlusconi”

Gaspare Mutolo era uno dei killer al servizio di Totò Riina. Ha commesso 29 omicidi. Si era avvicinato a Cosa Nostra nel 1969 per poi affiliarsi definitivamente nel 1973 durante il rito mafioso avvenuto a Napoli, segno che mafia e Camorra andavano a braccetto.
Mutolo, importante esponente del mandamento di Partanna-Mondello, il 15 dicembre del 1991 si sedette davanti a Giovanni Falcone (fu l'ultima volta che lo vide prima della strage di Capaci) e gli disse che aveva preso la decisione di collaborare. Di raccontare tutto. Mutolo in un suo libro precisa: "Ho parlato non per la paura di essere ammazzato, ma per far cadere un sistema". Negli anni diventa uno dei più importanti collaboratori di giustizia. Le sue testimonianze hanno permesso di far arrestare e condannare uomini di Cosa Nostra.
Falcone lo affidò a Paolo Borsellino: Mutolo e il magistrato si incontrarono un'ultima volta due giorni prima la strage di via d'Amelio. Gaspare Mutolo si è raccontato al Rumore Festival di Fanpage.it sabato 4 ottobre.
Ha raccontato: "Falcone, pur non avendo più la possibilità di ascoltare un collaboratore perché era agli affari penali del Ministero della Giustizia a Roma, mi è venuto a trovare quando gli hanno detto che avevo deciso di collaborare. Mi ha affidato a Paolo Borsellino. Ho aspettato 8 mesi prima di iniziare la mia collaborazione, perché – per motivi che sono difficili da spiegare – c'erano alcuni veleni a Palermo. C'era chi voleva che parlassi con altri giudici. Intendo veleni all'interno della magistratura, nelle forze dell'ordine e nella mafia. La mafia degli anni '90 non era quella che leggiamo noi sui giornali oggi, c'erano mafiosi che hanno dato l'ordine di uccidere la figlia, che hanno ucciso la sorella, il fratello e il cognato. Ci sono mafiosi che avevano perso il senso dell'umanità".
E sul giudice Falcone ha anche precisato: "L'idea di Falcone non era dare attenuanti nel processo al collaboratore di giustizia, ma dimostrare che un uomo può cambiare. Falcone ha scoperto come era composta la mafia. Come la mafia era a braccetto con la politica. Così i giudici come Giovanni Falcone e Rocco Chinnici hanno rotto questo legame".
Mutolo ha raccontato quello che ha vissuto, quella che era Cosa Nostra negli anni in cui lui è parte attiva all'interno dell'organizzazione criminale. Ha raccontato sul palco del Festival il suo rapporto con Totò Riina, il capo dei capi di Cosa Nostra: "Il mio rapporto con Totò Riina era un rapporto umano, bello e di amicizia. Faccio fatica a parlare male di Salvatore Riina perché ho conosciuto i lati buoni di Riina. Così come ho conosciuto il suo lato cattivo quando Riina ha conosciuto gli uomini cattivi. Riina era in un contesto di vigliacchi e assassini. Per non essere fregato, fregava lui. Aveva scoperto di avere attorno una massa di traditori, si preoccupò. Riina ha commissionato omicidi, certo".
Autore di diversi omicidi è stato anche Gaspare Mutolo. La mafia si affidava a lui anche per commettere atti intimidatori e sequestri: "Mi ricordo quando nel 1968 ho bruciato la macchina al giudice Cesare Terranova su ordine di Riina. Perché avevano dato il ‘confino' a Ninetta Bagarella, ovvero la fidanzata di Riina, quella che poi divenne sua moglie. In quel periodo si mandavano al confine le prostitute, quindi Riina era arrabbiatissimo. E mi ha dato l'ordine di bruciare la macchina, poi il giudice Terranova è stato tempo dopo anche ucciso".
Gaspare Mutolo erano stato scelto anche per organizzare ed eseguire il rapimento di Silvio Berlusconi. Erano gli anni in cui le organizzazioni criminali si alimentavano rapendo importanti imprenditori del Nord Italia e chiedendo il riscatto per la loro liberazione: "Siamo nel '75. Tutto era pronto per sequestrare Silvio Berlusconi. Mi trovavo a Milano con altri mafiosi, alcuni poi diventati anche loro collaboratori di giustizia. Avevo fatto già due sequestri di persona. Avevamo una bottega di copertura. Arriva poi Nino Badalamenti, cugino del boss di Cinisi Tano Badalamenti che ci disse di tornare in Sicilia perché era stato deciso di non fare più il rapimento. Perché Berlusconi lo aveva saputo tramite Marcello dell'Utri e si erano messi d'accordo. Avevano fatto il patto – cosa accertata dallo Stato successivamente – di inserire (il mafioso) Vittorio Mangano in casa sua. Era diventato il suo protettore: come se fosse la bandiera palermitana che diceva che questo imprenditore non si tocca".