L’avvocata Malavenda: “Il potere non può intercettare nessuno, tanto meno i giornalisti”

"In Italia il potere non può intercettare nessuno. Solo per atto motivato della magistratura si può ricorrere a tale sistema invasivo". A Fanpage.it l'avvocata Caterina Malavenda parla di libertà di stampa e di come deve essere il rapporto corretto tra potere e giornalista. Lei del resto ne sa: è tra i legali più esperti e preparati quando si parla di querela e diffamazione. A lei si rivolgono la maggior parte delle testate giornalistiche d'Italia. Nel suo libro "E io ti querelo", edito da Marsilio, ha raccontato dieci processi. O meglio: "Una storia della libertà di espressione in dieci processi".
Nel suo libro scrive che la democrazia funziona solo se notizie, critiche e polemiche circolano liberamente. Da questo punto di vista secondo lei in Italia c'è democrazia?
Non ne farei un problema di democrazia in senso stretto perché da noi, a differenza che in tanti altri Paesi autoritari e per fortuna, vige la libertà di informazione. Certo, però, se non è adeguatamente tutelata, finisce per essere solo virtuale, le notizie non circolano, con la conseguente compromissione del diritto di formarsi un’opinione altrettanto libera da condizionamenti. Dunque, se il potere non tollera la diffusione di fatti scomodi, frutto di inchieste serie e di opinioni critiche e reagisce con querele e azioni risarcitorie, anche quando mancano i presupposti, l’effetto dissuasivo può essere letale.
Lei scrive che quando ha iniziato i potenti non si rivolgevano ai giudici per intimidire la stampa. Oggi ci sono più querele? Perché?
Anche qui occorre distinguere. Anche il potente, se viene accusato falsamente di aver tenuto una condotta illecita, ha il diritto, e se è un politico che vive di immagine, anche il dovere di reagire in sede giudiziaria, anche se io penso che a volte sia più efficace e tranciante una rettifica ben fatta senza replica. La minaccia di querela, spesso seguita dal suo effettivo deposito e dall’inevitabile processo, invece, quando il giornalista ha fatto bene il suo mestiere e ha irritato l’interessato, oggi è diventata e sempre meno raramente un invito preciso a desistere per il futuro. Poi quando il giudice riconosce che la querela era infondata, chi l’ha proposta sapendolo non ha alcuna conseguenza economica. E questo si deve anche all’ostinazione della politica che non vuol mettere mano alle norme vigenti per cambiarle a favore del querelato che vince. Eppure basterebbe poco.
Quando il giornalista deve fermarsi?
A volte capita che riceva una segnalazione che gli pare attendibile, ma se dopo le necessarie verifiche e nonostante la verosimiglianza dell’informazione iniziale, non riesce a trovare le indispensabili conferme, deve desistere per non rischiare di introdurre nel sistema informativo notizie inattendibili perché non riscontrate.
Intercettare un giornalista è anche un modo per intimidirlo? Cosa può fare un giornalista che si accorge di essere intercettato dal potere?
In Italia il potere non può intercettare nessuno. Solo per atto motivato della magistratura si può ricorrere a tale sistema invasivo, ma a fronte di precisi presupposti, anche per prevenire eventuali reati. Fuori dal perimetro normativo, ogni intrusione è indebita e deve essere sanzionata. Certo per farlo è necessario risalire all’autore dell'illecito e con i sistemi sofisticati di cui chi spia dispone è questo il vero problema. Il giornalista può denunciare ma è difficile che ottenga giustizia.
Crede che le istituzioni politiche devono fare di più per tutelare i giornalisti?
Io credo che il vero problema sia rappresentato dal fatto che chi deve fare le leggi per tutelare meglio e di più la libera informazione a volte è anche colui che, grazie alle leggi vigenti, può trascinare un giornalista in giudizio senza correre rischi di natura economica. Quindi è probabile che alle istituzioni politiche vada bene così. Debbo per di più rilevare che le leggi più recenti, specie in tema di cronaca giudiziaria, quella che fa più paura a chi sta al potere, hanno e di molto limitato la libertà di dare e mantenere in rete notizie importanti.
Come deve essere il rapporto corretto tra informazione e potere?
Il politico insultato gratuitamente o cui è stato attribuito un fatto falso ed infamante può e deve tutelarsi, lasciando però che opinioni anche urticanti, inchieste scottanti e la satira che castiga facendo sorridere possano liberamente circolare, senza timori di rappresaglie giudiziarie.
Nel raccontare le indagini c'è un prima e un dopo Mani Pulite, cosa è cambiato?
Come scrivo nel mio libro, l’era di Mani Pulite è stata caratterizzata da un "liberi tutti" a tratti incivile e ingeneroso, con la certezza che gli obiettivi non avrebbero reagito, fiaccati com’erano da inchieste e processi. Poi, quando tutto è finito ed è stato dimenticato, è stato quasi naturale per la politica passare al contrattacco, rivendicando il diritto di querela. Oggi la situazione sotto quel profilo sembra essersi normalizzata, direi però con una certa riduzione del dissenso che, a mio avviso e per tornare là da dove siamo partiti, non fa bene alla democrazia, indebolita e forse in modo più marcato dall’autocensura per quieto vivere.
Si sente una paladina della libertà di stampa?
Ma ci mancherebbe! Sono una professionista che, per le strane coincidenze della vita, si è trovata al posto giusto, nello studio di Corso Bovio con cui ho iniziato e nel momento giusto, quando i processi per diffamazione erano vissuti da tutte le parti in causa, compresi i giudici, come un momento importante per mettere a confronto due beni – la libertà di stampa e la reputazione – facendo prevalere il primo, se ce n’erano le condizioni. È stato bello, mi sono convinta che quel che facevo era utile e, per di più, mi sono divertita. Oggi mi sembrano tutti meno motivati e le confesso, pur credendoci ancora, che mi diverto meno.