L’Italia nega l’estradizione in Ruanda del prete accusato di genocidio

La Corte di Appello di Roma ha respinto la richiesta di estradizione che era stata sollecitata nei confronti del sacerdote cattolico Jean Baptiste Rutihunza perché le accuse potrebbero essere frutto del “profondo odio razziale diffuso tra la popolazione” del Ruanda. È questa una delle motivazione per cui Roma ha negato l’estradizione per il prete, il quale è accusato dei reati di genocidio e crimini contro l’umanità. Accuse che sono relative al periodo della sanguinosa guerra civile che lacerò il Ruanda a metà degli anni ’90: il sacerdote, che oggi ha 64 anni, all’epoca era direttore del centro dei fratelli della carità di Gatagara, una confraternita che assisteva persone con disabilità e bambini.
“Il sacerdote non nutriva alcun odio verso i Tutsi” – I giudici della Corte di Appello di Roma hanno, con questa decisione, fatto proprie le argomentazioni del sostituto procuratore Pietro Giordano e degli avvocati difensori di padre Rutihunza. In sua difesa ci sono anche le dichiarazioni di un medico e di un assistente sociale che hanno prestato servizio al “Home de la Viee des Pauvrese” di Gatagara e hanno spiegato che il sacerdote “non nutriva alcun odio verso i Tutsi” e non ha “partecipato all’ideazione di violenze nei loro confronti, ma che il Centro dei fratelli della carità di Gatagara non era stato teatro di massacri di bambini disabili”. Viene anche escluso che il sacerdote, che ora vive in Vaticano, facesse parte del Mmd – Movimento nazionale per lo sviluppo che diede il via alla persecuzione dei Tutsi.