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Italiano condannato a morte per omicidio in Thailandia: “Sono innocente, salvatemi”

Denis Cavatassi, agronomo abruzzese dal 2009 titolare di alcune imprese in Thailandia, dove si è trasferito, rischia di essere giustiziato per un omicidio per cui si dichiara innocente, quello dell’ex socio Luciano Butti. L’imprenditore toscano è stato ucciso a colpi di pistola nel 2011 a Phuket. Da allora Cavatassi è rimasto rinchiuso in cella in condizioni disumane fino alla condanna a morte, che rischia di diventare definitiva tra poche settimane.
A cura di Angela Marino
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Entro la fine dell'anno la condanna a morte potrebbe diventare definitiva e lui verrebbe giustiziato, ma continua a professarsi innocente. È la storia di Denis Cavatassi, italiano giudicato colpevole dell'omicidio dell'ex socio Luciano Butti avvenuto a Phuket, in Thailandia, nel 2011. Oggi Denis si trova nel carcere in Thailandia, dove aspetta la pronuncia della Corte Suprema al termine di un percorso detentivo e giudiziario, secondo Cavatsssi, costellato da molteplici abusi.

I fatti sono andati in scena nel 2011. Luciano Butti, imprenditore e albergatore di 60 anni di Montevarchi (Arezzo), viene ucciso a Phuket con tre colpi di pistola a bordo del suo scooter: un autentico agguato. Segue l'arresto di tre persone, identificate come gli autori materiali dell'assassinio, tra i quali c'è un cameriere che lavora al ristorante di Denis Cavatassi, socio 44enne di Butti. Il collegamento con l'agronomo di Tortoreto, dal 2009 in affari con Butti per il rilancio della attività ricettive del luogo, per la polizia locale, è fulmineo. A provare la colpevolezza di Butti, spunta un bonifico di 150mila baht (poco meno di 4mila euro) partito dal conto dell'imprenditore abruzzese a quello del suo dipendente.

Cavatassi viene arrestato – mentre stava effettuando il riconoscimento del corpo di Butti – e poi scagionato su cauzione. In quei giorni potrebbe lasciare la Tahilandia e sottrarsi al processo, ma non lo fa: vuole uscirne pulito. Contro di lui, infatti, l'accusa ha un bonifico che Cavatassi spiega essere il salario del mese più poche centinaia di euro di anticipo del successivo mensile, per problemi familiari. Resta il movente, quel debito di sette, forse otto milioni di baht (circa 200mila euro) del Butti nei confronti del socio abruzzese, che per i magistrati è la pistola fumante davanti al corpo del povero Butti. Quel debito, però, secondo Denis Cavatassi non esiste. Intanto resta in carcere, dove è rinchiuso quando viene alla luce Asia, la prima e unica figlioletta avuta dalla moglie thailandese e dove, come denunciano i familiari e dell'avvocato italiano, Luciana Ballerini, vengono violati più volte i suoi diritti.

Torturato, recluso in condizioni disumane con le caviglie incatenate e schiacciato con altre decine di detenuti nella stella cella, Cavatassi comincia il suo lungo calvario in attesa della sentenza di assoluzione, che però non arriva. I giudici decidono che Cavatsssi è il mandante dell'omicidio Butti e a nulla valgono i tentativi di scardinare quella tesi. La pena, come vuole la legge locale, è inesorabile: la morte. A fronte delle violazioni contestate, in Italia il caso scatena polemiche e proteste.

Anche la politica si è interessata del caso. È recentemente intervenuto durante il suo mandato il presidente della Camera, Roberto Fico: "Il nostro Paese”, dice il presidente della Camera, Roberto Fico, “rifiuta incondizionatamente la pena di morte". "Nelle prossime settimane è attesa la pronuncia definitiva della Corte suprema sul caso di Cavatassi. Siamo fiduciosi in un esito diverso. A Denis e ai suoi cari va in questo momento il nostro pensiero e tutta la nostra umana solidarietà”. Il verdetto finale è atteso entro fine anno.

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