Il lido la invita a coprirsi il seno, lei si oppone: “Il topless non è vietato, il corpo non va censurato”

"Sono vent'anni che vado in spiaggia in topless, in tutta Italia, e non mi era mai successo nulla del genere. Ero semplicemente al mare con mia sorella, avevo appena fatto il bagno e, tornando verso l'ombrellone, il bagnino mi ha chiesto di coprirmi". Raffaella, attivista per i diritti civili e dirigente provinciale di Udine del partito Possibile, racconta così l’episodio che l’ha vista protagonista pochi giorni fa in un lido attrezzato di Castellaneta Marina, in provincia di Taranto.
I fatti sono avvenuti lunedì scorso: Raffaella si sta godendo una giornata di mare quando viene avvicinata da un bagnino che, con tono cortese ma fermo, le chiede di coprirsi i seni. "Mi ha detto: ‘Devo chiederle di coprirsi', senza neanche guardarmi in faccia", racconta la donna. Lei, forte anche di una lunga militanza politica e di una certa padronanza dei suoi dritti, non accetta passivamente la richiesta. "Gli ho risposto: ‘Con me caschi male, perché conosco la normativa: non esiste alcun divieto nazionale al topless, e dal 1978 non è più considerato un atto contro la pubblica decenza'".
Sulle prime il bagnino non si arrende e replica che si tratta di un "lido privato", come se questa circostanza lo esentasse dal rispettare le leggi nazionali; ma Raffaella, studentessa all’ultimo anno di giurisprudenza, ribatte con fermezza: "Il tratto di spiaggia è un bene demaniale con uso pubblico, quindi non possono imporre regole arbitrarie che violano i diritti individuali. Inoltre, nel contratto stipulato al momento della prenotazione online non era indicato alcun divieto relativo al topless".
La questione per lei non è solo giuridica, ma profondamente culturale. "Il mio è stato un gesto consapevole: non mi sono coperta e sono tornata sotto l’ombrellone. Il bagnino non mi ha più detto nulla, probabilmente si è informato. Basta cercare su Google per scoprire che il topless in spiaggia non è vietato". Tuttavia, il senso di disagio non l’ha abbandonata per tutta la giornata. "Non sono più tornata in acqua. Non per paura, ma perché l’episodio mi ha tolto la serenità".
Raffaella ha deciso di raccontare pubblicamente la sua esperienza anche per sottolineare il valore simbolico di ciò che le è accaduto. "In vent’anni non mi era mai successo, eppure oggi sento che c’è un clima che legittima sempre più spesso atteggiamenti restrittivi e discriminatori, soprattutto verso i corpi femminili e le identità non conformi". Ha poi aggiunto: "Nessuno ha pensato che potessi essere una persona trans o non binaria. Quel gesto automatico, il chiedermi di coprirmi, è frutto della sessualizzazione del corpo femminile, un riflesso che colpisce solo le donne. A nessun uomo è mai stato chiesto di coprirsi in spiaggia".
Una riflessione che va oltre il singolo episodio. "Negli anni Ottanta vedevo molto più spesso donne in topless. Oggi sembra quasi sparito, e chi lo fa si sente osservata, giudicata", osserva. Per Raffaella, l’invito a "coprirsi" è stato un attacco alla libertà di espressione: "Non stavo praticando nudismo, non stavo commettendo atti osceni né violando alcun regolamento. Solo che, nel contesto attuale, anche un seno scoperto sembra diventare un problema di ordine pubblico".
Il messaggio che lancia, alla fine della sua testimonianza, è chiaro: "Vorrei che tutte le persone, donne e non solo, si sentissero libere di vivere il proprio corpo senza vergogna, senza pressioni. In spiaggia ci si deve poter sentire a proprio agio, non giudicate. E soprattutto è importante sapere che non esiste alcuna normativa che vieta il topless. Il diritto c’è, bisogna solo rivendicarlo". In attesa di concludere gli studi in giurisprudenza, Raffaella continuerà a battersi per i diritti civili. E anche per un diritto, apparentemente semplice, come quello di prendere il sole in libertà.
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