Il Caso Yara, multa da 40mila euro alla serie tv: “Usate intercettazioni dei genitori mai a processo”

Una pesante sanzione da 40mila euro è stata imposta dal Garante della Privacy alla produzione della docuserie tv “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio” per l’uso di audio e intercettazioni private della famiglia Gambirasio mai usate nel processo contro Massimo Giuseppe Bossetti, poi condannato all'ergastolo in Cassazione per l’omicidio della 13enne scomparsa a Brembate di Sopra il 26 novembre 2010 e trovata morta in un campo aperto a Chignolo d'Isola il 26 febbraio del 2011.
Una decisione scaturita da una indagine dell’autorità a seguito di un esposto della stessa famiglia di Yara Gambirasio per violazione della Privacy, presentato già subito dopo la messa in onda del prodotto tv su Netflix lo scorso anno. Nel mirino del Garante ben 46 registrazioni usate nella serie ma che secondo l’autorità non hanno avuto alcuna rilevanza per le indagini e quindi assolutamente non pubblicabili.
Tra gli audio usati dalla Produzione ci sono conversazioni private della famiglia Gambirasio intercettate dai carabinieri che a quel tempo indagavano sulla scomparsa della ragazzina e mai usate nel processo perché assolutamente irrilevanti ma anche messaggi audio inviati alla segreteria della 13enne dalla madre quando ancora si sperava di ritrovarla viva.
Per il Garante, la diffusione degli audio, in gran parte trasmessi nel primo e secondo episodio, non sarebbe giustificata dal diritto di cronaca e costituirebbe un’intrusione illegittima nella vita privata della famiglia. L’autorità ha stabilito che vanno rimossi e non potranno più essere diffusi.
Accolta dunque la richiesta dei genitori di Yara che fin dalla scomparsa della figlia, e poi col tragico rinvenimento del corpo della 13enne, si sono sempre tenuti lontano da telecamere e riflettori chiedendo a tutti il massimo riserbo e rispetto per il loro dolore. Interpellati dagli stessi produttori della serie, avevano anche declinato l’offerta di intervenire tirandosi fuori completamente dal progetto.
Con la messa in onda, la famiglia, attraverso i legali, aveva però denunciato “un’intrusione arbitraria” nella loro intimità, e l'utilizzo di conversazioni provate solo per “solleticare la morbosa attenzione degli spettatori”. I produttori si erano appellati alla "legittima espressione del diritto di cronaca", dicendo di aver usato atti giudiziari depositati e in parte già divulgati, e audio che avevano solo lo scopo di tratteggiare la “quotidianità familiare” della famiglia della vittima.
Un comportamento che però, secondo il Garante della Privacy, ha oltrepassato il limite dell’essenzialità dell’informazione, violando i principi di liceità e minimizzazione stabiliti dallo stesso Garante, nonché delle Regole deontologiche dell'Ordine dei giornalisti. Un provvedimento contro il quale la produzione potrà ora fare appello.