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Famiglia che vive nel bosco

I bimbi della “famiglia nel bosco” sono stati visitati da un pediatra per la prima volta a 6-8 anni

Secondo il tribunale “i minori, inizialmente privi di un medico di base, hanno effettuato la prima visita pediatrica il 24/7/2025”, quando avevano tra i 6 e gli 8 anni.
A cura di Davide Falcioni
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È un dettaglio decisamente rilevante, nascosto tra le pieghe di un provvedimento giudiziario, a restituire con maggiore nettezza la serietà della vicenda della cosiddetta "famiglia nel bosco". Nell'atto della Corte di Appello dell’Aquila che venerdì scorso ha rigettato il ricorso presentato dai legali dei coniugi  Trevallion-Birmingham contro la sospensione della potestà genitoriale nei confronti di Nathan e Catherine si legge infatti che "i minori, inizialmente privi di un medico di base, hanno effettuato la prima visita pediatrica il 24/7/2025", quando avevano tra i 6 e gli 8 anni. Un passaggio che, più di molti altri, fotografa il “prima” della scelta radicale compiuta dalla coppia anglo-australiana trasferitasi nei boschi di Palmoli, nel Chietino, e il brusco risveglio imposto dall’intervento delle istituzioni.

La sospensione della potestà genitoriale di Nathan e Catherine Trevallion – definita dagli stessi giudici "severa" ma "temporanea" – nasce proprio da qui: da una lunga sottovalutazione dei profili sanitari e sociali dei figli, maturata all’interno di una vita agreste rivendicata come scelta consapevole e protettiva. Secondo il tribunale, quell’impostazione ha però prodotto vuoti difficili da giustificare, a partire dall’assenza prolungata di qualsiasi riferimento medico per i bambini.

L’esempio più evidente riguarda la salute della figlia minore. Al momento dell’inserimento in casa famiglia, annotano i giudici, "la minore era affetta da bronchite acuta con broncospasmo non segnalata e non curata dai genitori". Una patologia che gli atti collegano alle condizioni abitative della famiglia: una casetta nel bosco, con infissi problematici, esposta ai rigori del clima abruzzese.

Nel “prima” della storia, i Trevallion avevano manifestato una diffidenza marcata verso i controlli sanitari, rivendicando per i figli "una vita all’insegna della natura ed al riparo dalle influenze mediatiche nocive". Una posizione che li aveva portati a sottrarre i bambini al completamento del ciclo vaccinale e ad altri accertamenti ritenuti necessari dalla pediatra, tra cui "gli esami ematochimici e la visita neuropsichiatrica prescritti".

Il “dopo”, descritto nel provvedimento, racconta però un cambio di passo. A seguito dell’intervento del tribunale, la coppia ha iniziato a colmare quelle lacune, rendendosi disponibile ai controlli sanitari e aderendo alle indicazioni ricevute. Una “conversione” graduale al rispetto delle norme, letta dai giudici come segnale di affetto verso i figli ma anche come reazione a un rischio concreto per l’unità familiare.

Uno schema simile emerge sul fronte dell’istruzione. La scelta dell’istruzione parentale non viene messa in discussione in sé, ma è il mancato rispetto delle procedure – l’assenza di comunicazioni formali alla scuola del territorio e delle dichiarazioni annuali richieste – a pesare nel giudizio complessivo. Anche qui, dopo l’intervento della difesa e grazie al coinvolgimento del sindaco di Palmoli, Giuseppe Masciulli, la famiglia ha accettato il supporto di un’insegnante esperta di homeschooling.

Il punto di frattura più netto resta però quello dei rapporti con i servizi sociali. "Prima che il nucleo potesse essere preso in carico dal servizio medesimo, la famiglia ha fatto perdere le proprie tracce", scrivono i giudici, ricostruendo l’allontanamento improvviso dal territorio e il ritorno solo dopo alcuni mesi. Un gesto interpretato come sfida aperta alle istituzioni, oggi considerata rientrata.

Nel frattempo, i tre bambini hanno mostrato una rapida capacità di adattamento nella casa famiglia, stringendo relazioni con i coetanei. Saranno ascoltati nuovamente dal tribunale senza la presenza dei genitori: questa volta "dovrà esserci un interprete, in condizioni che consentano ai minori di esprimersi al riparo di condizionamenti".

La cornice giuridica in cui si inserisce l’intera vicenda è chiarita nelle conclusioni del provvedimento. Richiamando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, i giudici ribadiscono che l’allontanamento dei minori è un’ingerenza nella vita familiare ammessa solo se giustificata dal "migliore interesse del minore" e, soprattutto, destinata a restare temporanea. Da qui l’ultimo spiraglio: "L’obbligo positivo di adottare misure per agevolare il ricongiungimento familiare appena ciò sia ragionevolmente fattibile". La separazione dunque, almeno nelle intenzioni, non è destinata a diventare definitiva.

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