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Giorgio Parisi (Lincei) a Fanpage.it: “Immunità di gregge da Covid? Il prezzo è 500mila morti”

Giorgio Parisi, tra i più importanti fisici del mondo e presidente dell’Accademia dei Lincei, in un’intervista a Fanpage.it: “Per arrivare a una ‘protezione di gregge’ in tutta Italia dovrebbe morire l’1 per cento della popolazione, cioè oltre mezzo milione di persone, più o meno lo stesso numero dei caduti italiani durante la Seconda Guerra Mondiale o l’epidemia di Spagnola di un secolo fa”.
A cura di Davide Falcioni
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Giorgio Parisi, fisico e presidente dell'Accademia dei Lincei
Giorgio Parisi, fisico e presidente dell'Accademia dei Lincei
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"Per ottenere l'immunità di gregge in Italia servirebbero circa 500mila morti, gli stessi della Seconda Guerra Mondiale". A spiegarlo, in un'intervista rilascia a Fanpage.it, il professor Giorgio Parisi, presidente dell’Accademia dei Lincei e tra i fisici italiani più stimati nel mondo, scienziato che fin dall’inizio dell'emergenza sanitaria si è dedicato all'osservazione dei numeri e dell'andamento del contagi dell’epidemia di Sars Cov 2. La scorsa settimana Parisi ed altri 100 studiosi hanno lanciato un appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinché venissero prese subito misure restrittive drastiche: "Il contagio va fermato ora – recitava la lettera al Capo dello Stato – con misure adeguate, ed è per questo che chiediamo di intervenire ora in modo adeguato, nel rispetto delle garanzie costituzionali, ma nella piena salvaguardia della salute dei cittadini, che va di pari passo ed è anch’essa necessaria e funzionale al benessere economico". Nel giro di pochi giorni il governo ha approvato un nuovo Dpcm; la crescita dei contagi tuttavia non è ancora rallentata e si attendono per i prossimi giorni nuovi provvedimenti restrittivi urgenti.

Professor Parisi, la scorsa settimana – insieme ad altri 100 scienziati – ha lanciato un appello a Mattarella chiedendo subito provvedimenti più severi per contenere i contagi: è soddisfatto dell’ultimo Dpcm del governo?
Il decreto certamente va nella direzione giusta, ma bisognerà attendere una settimana per misurarne gli effetti. Il governo e il Comitato Tecnico Scientifico hanno informazioni dirette e precise che io non posseggo e sono in grado di effettuare previsioni e stime migliori delle mie. Tuttavia le faccio un esempio: io non ho gli ultimi dati sulla mobilità degli italiani, che si ottengono grazie a svariate applicazioni, ad esempio l’analisi di Google, però alcune informazioni sono note: durante il lockdown la mobilità si era ridotta al 20 per cento rispetto al periodo pre-chiusure, mentre una decina di giorni fa era all’80-90 per cento. Se nei prossimi giorni la mobilità dei cittadini diminuirà drasticamente vorrà dire che le misure avranno avuto effetto; se invece rimarrà elevata occorrerà un ulteriore inasprimento. 

Crede che la comunicazione istituzionale spesso rassicurante degli ultimi mesi sia stata corretta? Il governo non avrebbe fatto meglio a preparare i cittadini a uno scenario come quello che stiamo attraversando, con nuove importanti restrizioni ormai inevitabili?
Credo che la comunicazione del governo sia stata corretta ma che le persone abbiamo abbassato la guardia eccessivamente. Certo, non hanno aiutato quegli esperti che sostenevano che il virus era ormai morto, i politici che protestavano contro la chiusura delle discoteche e blateravano fino a qualche giorno fa di dittatura sanitaria. Credo che il governo sia stato un po’ timido nell’affrontare negazionisti e “riduzionisti” e che si sia illuso che la situazione non sarebbe peggiorata così rapidamente. 

Secondo l’ISS ci avviamo verso lo “scenario 4”: “Trasmissione comunitaria diffusa, Cluster non più distinti tra loro, nuovi casi non correlati a catene di trasmissione note, pressione sostenuta per i Dipartimenti di Prevenzione". Tale scenario sarebbe stato evitabile? E come?
Se il governo avesse approvato due o tre settimane fa le misure dell’ultimo Dpcm probabilmente avremmo scongiurato lo "scenario 4". D’altro canto però se il governo si fosse mosso prima e con maggior severità molti politici dell’opposizione e “soloni” dei salotti televisivi avrebbero detto che si trattava di misure ingiustificate. La verità è che in tutto il mondo i lockdown sono stati adottati con una o due settimane di ritardo: si tratta di restrizioni che a nessuno fa piacere prendere e che hanno comunque gravi conseguenze. 

Ha senso lasciar circolare liberamente il virus e puntare sull'immunità di gregge, come alcuni ipotizzano?

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Vedo che se ne parla molto. Uno studio dell’Economist pubblicato oggi e condotto sui paesi più colpiti della Lombardia dimostra che dove i morti, durante la prima ondata, sono stati il 6 per mille della popolazione (6 decessi su mille abitanti, ndr) oggi i contagi sono leggermente inferiori rispetto alla media. Dove invece il numero dei morti è stato dell’1 per cento della popolazione (1 decesso ogni 100 abitanti, ndr) oggi i casi sono quasi nulli. Ciò dimostra che per arrivare a una “protezione di gregge” in tutta Italia dovrebbe morire l’1 per cento della popolazione cioè oltre mezzo milione di persone, più o meno lo stesso numero dei caduti italiani durante la Seconda Guerra Mondiale o l’epidemia di Spagnola di un secolo fa. A questo punto, e con questi dati, la questione non è più scientifica: si decida se è eticamente accettabile lasciare che il virus circoli infettando decine di milioni di persone, causando il collasso del sistema sanitario e la morte dell’1 per cento della popolazione, cioè più  500mila persone.

I casi raddoppiano di settimana in settimana e presto i morti potrebbero essere 4/500 al giorno, come lei aveva previsto. Quali sono, secondo lei, i provvedimenti più urgenti da assumere ora? E con quali tempistiche?
Il numero dei morti sta seguendo l’andamento che avevo previsto, quello dei casi è invece leggermente inferiore e non so ancora se ciò avvenga perché vi è una lieve flessione della curva dei contagi o perché molti sfuggono al tracciamento, come temo. Di certo, comunque, è necessario a questo punto imporre provvedimenti più restrittivi accompagnati da adeguati supporti economici: ad esempio chiudere tutte le attività non essenziali limiterebbe di molto la circolazione delle persone. Sarebbe tuttavia indispensabile aiutare concretamente le categorie penalizzate: penso ad esempio a una grande mobilitazione per portare la spesa a casa degli anziani soli attivando – in assoluta sicurezza – persone rimaste senza lavoro a causa della crisi. Un altro nodo è quello dei positivi al virus con pochi sintomi: mi ha colpito molto la storia del ragazzino di 13 anni costretto a dormire in macchina per non contagiare i suoi cari. I positivi non dovrebbero restare insieme al resto della famiglia: andrebbe data loro la possibilità di trasferirsi per qualche giorno nei covid hotel. Ovviamente per mettere in campo queste iniziative servirebbero enormi risorse e un’organizzazione che In Italia mi sembra attualmente manchi. 

Capitolo scuole: ha senso continuare a tenerle aperte o è preferibile ricorrere massicciamente alla didattica a distanza?
Occorre fare delle distinzioni fondamentali. I ragazzi sotto i dieci anni sviluppano raramente il Covid-19 e comunque in forme molto lievi e almeno nelle grandi città molto spesso non prendono l’autobus, come invece fanno gli studenti delle scuole superiori. Queste ultime però sono sostanzialmente chiuse visto che la didattica in presenza è solo al 25 per cento. Credo che quindi le scuole debbano essere le ultime a chiudere, non prima di negozi e fabbriche non essenziali, e solo se ci sono dati scientifici che dimostrano senza alcun dubbio che sono una fonte sostanziale di contagi. La letteratura al momento disponibile dice che nelle scuole elementari e medie le infezioni sono molto poche rispetto alle superiori. Chiederle tutte indiscriminatamente ora sarebbe un disastro di cui vedremmo gli effetti tra 20, 30 anni. 

Giorgio Parisi durante una lezione di fisica a Roma.
Giorgio Parisi durante una lezione di fisica a Roma.

Come potrà essere colmato il gap di istruzione accumulato in questi mesi tra gli studenti? Come vede la scuola del futuro?
È molto difficile che le scuole possano andare avanti con la didattica a distanza perché il contatto umano è fondamentale, così come l’empatia tra allievo e insegnante. Certo, è possibile prevedere un contributo minimo della “teledidattica”, ma il lavoro fondamentale deve essere fatto in presenza.

Tra i firmatari dell’appello della scorsa settimana ci sono anche economisti. Per preservare la tenuta economica del paese meglio un lockdown “soft” o restrizioni generalizzate più rigide, ma di durata inferiore? E cosa ci dicono gli esempi di altri paesi del mondo?
In tutto il mondo il danno sanitario è sempre stato parallelo a quello economico; contenendo il primo si riduce automaticamente anche il secondo. Prendiamo la Svezia: economicamente non è stato colpita meno degli altri paesi dell’area scandinava ma ha avuto molte più vittime di Norvegia e Danimarca. La Cina ha imposto un lockdown molto duro e oggi è probabilmente l’unico paese al mondo che finirà il 2020 con un incremento del Prodotto Interno Lordo. Israele ha organizzato un lockdown di un mese che gli ha permesso di ripartire con un numero contenuto di contagi. L’inverno è lungo e dobbiamo organizzarci affinché – anche se si dovesse organizzare un lockdown severo di un mese – alla fine i casi non “rimbalzino” aumentando di nuovo; una situazione ideale potrebbe essere quella di settembre, quando l’Italia aveva una leggerissima crescita esponenziale dei positivi al coronavirus con un tempo di raddoppio di 2/3 mesi, oggi ridotto a una settimana. Se quella condizione fosse continuata nel resto dell’inverno saremmo arrivati a marzo contenendo i danni in attesa del vaccino e degli anticorpi monoclonali. A questo punto, comunque, è urgente abbassare i contagi e riportare l’occupazione delle terapie intensive sotto le mille unità. 

La pandemia ha duramente colpito la maggior parte dei paesi occidentali, i più ricchi del mondo. Quanto sarà importante in futuro investire in welfare, sanità e istruzione per evitare altre pandemie? E quanto, secondo lei, il modello capitalistico è compatibile con la salute umana e quella del pianeta?

Si tratta di un problema complesso perché c’è capitalismo e capitalismo. Anche le socialdemocrazie svedesi di un tempo erano società capitalistiche e nella stessa Italia degli anni 60 e 70 sono stati introdotti molti provvedimenti a tutela della salute di milioni di lavoratori. Certo, ci sono molte ottime ragioni per criticare il capitalismo, ma occorre ricordare anche che la stessa Cina di oggi che ha tenuto a bada il coronavirus è ben diversa da quella degli anni ’70 ed è un paese capitalista in cui vivono molti tra gli uomini più ricchi del mondo; basta citare l’esortazione di Deng Xiaoping – “Arricchitevi” – per comprendere come anche quel paese da tempo non abbia quasi più nulla di socialista.

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