Garlasco, il giudice della Cassazione: “Ipotesi su Sempio deboli, Stasi fu condannato con prove chiare”

Nel pieno della nuova fase investigativa sul delitto di Garlasco, riaperta dalla Procura di Pavia, a intervenire è Maurizio Fumo, ex magistrato e presidente della quinta sezione della Corte di Cassazione. Fu lui, nel dicembre 2015, a firmare la sentenza definitiva che condannò Alberto Stasi a sedici anni di carcere per l’omicidio di Chiara Poggi. Intervistato in esclusiva da Dritto e Rovescio, Fumo è tornato a parlare del caso, ribadendo con fermezza la validità della decisione presa all’epoca.
"La responsabilità penale si stabilisce al di là di ogni ragionevole dubbio – ha spiegato – quando le eventuali ipotesi alternative risultano talmente improbabili, talmente fuori dalla realtà, da poter essere escluse con serenità. E all’epoca dei fatti, l’unico a essere raggiunto da un quadro indiziario solido e sufficiente era proprio l’imputato, cioè Alberto Stasi".
Secondo l’ex magistrato, già allora la Corte aveva giudicato deboli e generiche le tesi alternative avanzate dalla difesa.
"Alcune delle ipotesi suggerite – ha proseguito – ci apparvero fantasiose, prive di reale concretezza. Ed è curioso che oggi, a distanza di anni, stiano tornando fuori, sebbene in forme diverse. Vedremo che sviluppi avranno".
Il riferimento è al nuovo filone d’indagine che coinvolge Andrea Sempio, all’epoca amico del fratello della vittima, oggi formalmente indagato per omicidio in concorso. Una svolta che ha riacceso il dibattito mediatico e giudiziario. Eppure, nemmeno alla luce di questo nuovo scenario, l’ex presidente della Cassazione sembra nutrire dubbi:
"Al momento, per quanto leggo, si parla di ipotesi in astratto possibili, ma resta da capire se siano davvero fondate e, soprattutto, se siano dimostrabili. Mi pare che siano state formulate più ipotesi alternative e già questo, in sé, è un segnale di debolezza".
Un punto, quello della concretezza probatoria, che per Fumo continua a fare la differenza tra semplici congetture e responsabilità penale. Il suo giudizio, almeno per ora, non vacilla: la sentenza contro Stasi, dice, resta poggiata su basi solide e su un impianto accusatorio che non è stato smentito da alcun elemento oggettivamente nuovo.