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Caso Paragon

Dopo i giornalisti, spiati anche i banchieri: ora il caso Paragon diventerà una “cosa importante” per Giorgia Meloni?

Due tra i più grossi banchieri italiani, entrambi coinvolti in operazioni che puntano a ridefinire lo scenario finanziario italiano, spiati in modo illegale sono una “cosa importante” per Giorgia Meloni? Allora dia risposte sul caso Paragon, che ha coinvolto anche me, Ciro Pellegrino e altri giornalisti e attivisti.
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La doppia notizia è una bomba, e solo in un Paese strano come l’Italia buona parte dei media decidono di ignorarla o quasi, derubricandola nel migliore dei casi a un trafiletto in prima pagina. Dopo me e dopo Ciro Pellegrino, dopo Roberto D’Agostino di Dagospia e un altro "preminente giornalista", anche Francesco Gaetano Caltagirone e Andrea Orcel sarebbero stati spiati con Graphite, lo spyware prodotto dall'israeliana Paragon Solutions che entra e scarica tutto il contenuto di quel che ci scambiamo su qualunque app di messaggistica. Così, perlomeno, sostengono i giornalisti Raffaele Angius e Gianluca Paolucci, che hanno firmato il doppio scoop per Irpi Media e La Stampa.

Due parole sui personaggi, non foste avvezzi al mondo della finanza e delle banche.

Francesco Gaetano Caltagirone è il settimo uomo più ricco d'Italia, azionista di maggioranza di Cementir, uno dei più importanti gruppi di costruzioni del Paese, editore del Messaggero, del Mattino e di altre testate locali. Sopratutto però è il co-protagonista – assieme alla Dolfin, la finanziaria della famiglia Delvecchio – della scalata di Mediobanca da parte di Monte dei Paschi di Siena, banca di cui Caltagirone possiede più del 10 per cento delle azioni, più o meno quante ne ha il ministero del Tesoro. È una scalata, quest'ultima, che secondo tutti gli osservatori ha due obiettivi finali: il controllo di Assicurazioni Generali, il forziere della finanza italiana, e Banco Bpm, attualmente il terzo gruppo bancario italiano.

È una strada, quella di Caltagirone, che si intreccia con quella di Andrea Orcel, ad di UniCredit, che nei mesi scorsi era entrata in collisione con il governo proprio perché aveva cercato di acquisire Banco Bpm, trovando l'opposizione ferma dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni – e soprattutto dei ministri leghisti Salvini e Giorgetti – che aveva deciso di esercitare il golden power, ossia il potere di veto sulla vendita di asset giudicati strategici per il Paese.

Ecco: entrambe queste partite iniziano a succedere lo scorso autunno. E al periodo tra la fine del 2024 e il 2025 risulterebbe il tentativo di spionaggio dei due banchieri – definiamolì entrambi così, per comodità. Caltagirone avrebbe ricevuto l'avviso di essere oggetto di spionaggio da Whatsapp il 31 gennaio scorso, quando l'ho ricevuto io. Orcel invece, l’avrebbe ricevuto da Apple, lo scorso 29 aprile, quando l’ha ricevuto Pellegrino.

Mettiamo alcuni punti fermi. È molto improbabile, se non impossibile, che non si tratti di Paragon. La natura e la tempistica dell'avviso ricevuto da Caltagirone e Orcel rendono improbabile ogni altra ipotesi, anche quella di un'intercettazione disposta dalla magistratura, che in ogni caso non ha alcun contratto con Paragon.

Secondo punto: è altrettanto improbabile, se non impossibile, che l'autorità delegata ai servizi segreti, con a capo il sottosegretario Alfredo Mantovano, abbia potuto autorizzare lo spionaggio di due banchieri, in assenza di sospetti di reati come il terrorismo internazionale, il traffico di stupefacenti o l'affiliazione a organizzazioni criminali come mafia e camorra. Non è possibile perché, in teoria, lo vieta il contratto con Paragon, che vincola l'utilizzo di questo spyware a poche, selezionate e gravissime fattispecie di reato.

Terzo punto, conseguenza dei primi due: chiunque ha spiato Caltagirone e Orcel – e Roberto D’Agostino, e Ciro Pellegrino e me – l'ha fatto illegalmente. Ed evidentemente disponendo di un software come quello di Paragon, con cui il contratto ce l'avevano solo i servizi segreti italiani, Aisi e Aise, interno ed esterno, e il cui accesso – come apprendiamo dal rapporto Copasir – era rigidamente monitorato: ogni ricerca era tracciata su un server dedicato, e su un registro di audit immodificabile.

Quarto punto, quindi: o siamo tutti spiati da qualche servizio segreto estero, oppure esiste un cliente italiano di Paragon di cui nessuno sa l’esistenza. Oppure, terza possibilità, le cose non stanno come le hanno raccontate i servizi segreti al Copasir, e il Copasir nel suo rapporto.

Quinto punto: in ciascuno di questi casi, il governo dovrebbe attivarsi per capire che sta succedendo. Anche solo, nel caso di Caltagirone, come azionista del medesimo istituto bancario che lo stesso Caltagirone controlla. E invece, da nove mesi ormai, assistiamo a uno svilente balletto di omissioni, bugie, segreti di stato messi e tolti. E silenzi, soprattutto, come quello di Giorgia Meloni stessa, che interpellata dal senatore Matteo Renzi sul tema l’ha liquidato con un laconico “rispondo solo sulle cose importanti”. Affermando, in sostanza, che tre giornalisti spiati non sono una cosa importante.

Domanda: due tra i più grossi banchieri italiani, entrambi coinvolti in operazioni che puntano a ridefinire lo scenario finanziario italiano – una in cui il governo è coinvolto come azionista, l’altra in cui lo stesso governo ha esercitato il suo Golden power – sono una "cosa importante"? Siccome supponiamo lo siano anche per chi come Meloni non ha esattamente a cuore il destino della stampa libera e indipendente, attendiamo fiduciosi novità in merito.

Così come, del resto, attendiamo dal Copasir, la commissione parlamentare per la sicurezza della repubblica, un nuovo rapporto sulla questione, visto che in quello pubblicato a inizio giugno scorso non erano menzionati né il caso di Ciro Pellegrino, né quello di Roberto D’Agostino né ovviamente quelli di Caltagirone e Orcel. Se a suo tempo il Copasir aveva rubricato il mio caso come un possibile – ancorché molto improbabile – caso di "falso positivo", senza fornire alcuna spiegazione al tentativo di spionaggio nei miei confronti, è evidente che i nuovi casi richiedano ben altre risposte. Soprattutto perché nel telefono di Pellegrino, che come me lavora a Fanpage.it, sono state trovate tracce di Graphite che fanno decadere la tesi del "falso positivo".

Attendiamo, non troppo fiduciosi. Perché il silenzio sempre più imbarazzato del governo, del parlamento, dei media è lo specchio di un vicenda che sta diventando troppo grande da gestire, troppo calda da maneggiare, troppo grave per raccontarla per quel che è: un clamoroso e sistemico caso di spionaggio illegale con uno spyware mercenario di giornalisti e banchieri – e ci fermiamo qua, per ora – nel greto di una democrazia occidentale.

E questo imbarazzo, generalizzato, è già una risposta. Di quelle molto brutte.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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