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Opinioni

Dalla famiglia nel bosco a Garlasco: cinque cose del 2025 che ci saremmo risparmiati volentieri

Femminicidi trattati come fossero Il Trono di Spade, famiglie problematiche raccontate con toni da fiaba, vigilantes nelle metro che fanno solo danni, narrazioni tossiche e influattiviste: cosa avremmo preferito non vedere nel 2025.
A cura di Natascia Grbic
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Il 2025 è stato un anno denso di cose accadute, fatti di cronaca più o meno importanti, notizie date bene, notizie date male. Un giornale è fatto di tante cose: di argomenti che ‘tirano’, che vanno per la maggiore e sono molto richiesti dai lettori, a fenomeni sociali e fatti che noi giornalisti a volte preferiremmo non trattare ma che invece ci troviamo costretti a fare per dovere di cronaca. Qui vi propongo la mia personalissima top 5 delle cinque cose che ci saremmo risparmiati volentieri in questo 2025, e che invece ci hanno assillati triturandoci le ginocchia, per non dire altro.

Garlasco

Il circo mediatico per eccellenza, una serie di non notizie una appresso all’altra che vanno da quanto sarebbero antipatiche e invidiose le gemelle Cappa, ad Andrea Sempio che quando aveva 20 anni si vestiva di nero. Giuro, non sto scherzando, ho letto illazioni sul fatto che Sempio si vestiva di nero. Su Garlasco la procura sta facendo indagini, darne conto ai lettori è dovere di cronaca: quello che non è normale è creare teoremi sulle cazzate perché tirano e fanno vendere, e trattare una vicenda seria come se stessimo giocando a ‘cena con delitto’. Le gemelle Cappa probabilmente sconteranno tutta la vita quella cretinata del fotomontaggio, mentre i giornali continueranno a fabbricare piste fantasiose nonostante non siano mai state indagate e una delle due all’epoca avesse letteralmente una gamba rotta. Farebbe ridere se non fosse che di mezzo ci sta la gente vera e quello che – fino a prova contraria, che al momento non c’è – è il femminicidio di una 26enne.

Chiara Poggi e Alberto Stasi
Chiara Poggi e Alberto Stasi

La famiglia nel bosco

La storia finto idilliaca sulla famiglia nel bosco. I casi che trattano di minori sono sempre molto complicati e richiedono estrema prudenza, ma non per la maggior parte della stampa italiana, che li tratta con banalità e una superficialità da far venire le coliche renali solo ad aprire le prime pagine dei quotidiani.  E così scopriamo che far vivere dei bambini in contesti di totale deprivazione oggi è cool, e che va bene negare il diritto alla salute e all’istruzione perché, ehy! Mamma e papà dei figli possono fare qualsiasi cosa! Poco importa che una delle bambine avesse un bronchite con spasmi non curata (non serve che vi dica che questa cosa può avere ripercussioni importanti sulla salute, vero?), che la più grande (8 anni signori, non 6) sapesse a malapena scrivere il suo nome, che fossero costrette a vivere in una casa senza acqua corrente, bagno e riscaldamento (anche qui: sapete cosa vuol dire vivere in un vecchio rudere senza la possibilità di scaldarlo quando la temperatura arriva sotto lo zero? È un incubo, ve lo dico io). Bambini che non hanno mai visto un pediatra in vita loro, non perché non ne avessero bisogno (i bambini si ammalano, pure quelli che vivono nel bosco) ma per le convinzioni ideologiche dei genitori. Terrorizzare bambini dicendo che il mondo oltre loro è orribile è una logica da setta, negare loro le cure quando stanno male non è normale, e no, non c’è decisione dei genitori che tenga su questa cosa: il diritto alla salute deve essere garantito, a meno che non decidiamo che mamma e papà hanno diritto di vita o di morte su di noi. Tra l’altro sono abbastanza convinta che se si fosse trattato di una famiglia non bianca non staremmo nemmeno qui a parlarne, mentre qui abbiamo a che fare con due ricchi che per campare vendevano letture energetiche a duecento dollari e dicevano di poter trovare persone, cani e gatti col pensiero. Sia chiaro (perché già vi vedo pronti a scassare ¾ di cavolo), spero non ci sia l’allontanamento definitivo, ma che le cose cambino per il bene di questi bambini, quello sì.

Bambine nel bosco, immagine di repertorio
Bambine nel bosco, immagine di repertorio

Le influattiviste da social

Il femminismo neoliberale perfetto per i caroselli di Instagram che dà lezioni di militanza, lancia shitstorm, ti vuole insegnare a campare e parte da se stesso per parlare solo di se stesso. Un femminismo di facciata buono per vendere libri e con frasi belle da scrivere sulle magliette, buono per fare personal branding e avocare a sé battaglie collettive. Se lo critichi ti daranno della stronza, tirando in ballo la salute mentale.  Voto: 3-

Immagine realizzata con AI
Immagine realizzata con AI

Le ronde nelle metropolitane

Cicalone, Carabella, e tutti quelli che vanno a fare le ronde contro i borseggiatori in metro spacciandosi per protettori del popolo quando quello che interessa è aumentare le visualizzazioni su Instagram e magari guadagnare qualche posto in politica. E lo dico con estremo dispiacere da persona che seguiva con curiosità ‘Scuola di botte', e che ricorda un Cicalone poco incline alla semplificazione (anche se a volte i criminali erano effettivamente un po’ troppo mitizzati). Il fenomeno dei vigilanti sui mezzi pubblici è effettivamente problematico, e solo per pura fortuna finora non c’è scappato il morto. Chi li critica apertamente viene insultato e intimidito, una prova di forza da bulli intollerabile. I continui borseggi nelle metropolitane sono una realtà seria, ma non può e non deve essere lasciato campo a muscolosi improvvisati con voglia di fama.

Cicalone e Carabella
Cicalone e Carabella

Le narrazioni tossiche sui femminicidi

Le narrazioni tossiche sui femminicidi, la romanticizzazione degli uomini che uccidono, la cultura dello stupro e la normalizzazione della violenza di genere. Ogni volta che apriamo i giornali dobbiamo fare i conti con titoli non solo fatti male, ma dannosi ("uccisa perché l'amava troppo", un evergreen da cui non ci libereremo mai), con racconti stereotipati e offensivi per vittime e sopravvissute, con vittimizzazioni secondarie che spostano la responsabilità dalla violenza agita a chi la subisce, minimizzano il reato e contribuiscono a legittimare una cultura che assolve i carnefici e punta il dito contro le vittime. Ogni anno si spera che le cose cambino, ma siamo sempre in tempo a fare passi indietro.

Emanuele Ragnedda
Emanuele Ragnedda
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Giornalista dal 2013, redattrice alla cronaca di Roma di Fanpage dal 2019. Ho lavorato come freelance e copywriter per diversi anni, collaborando con vari siti, agenzie di comunicazione e riviste. Laureata in Scienze politiche all'Università la Sapienza, ho frequentato nel 2014 la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso.
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