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“Cultura sessista radicata anche tra i giovani, serve prevenire”: l’allarme dell’esperto a Fanpage.it

A Fanpage.it Gian Arturo Rota, coordinatore dell’equipe tecnica dell’associazione La svolta, che si occupa del recupero di uomini autori di violenza e di fare prevenzione sul tema, ha raccontato: “Abbiamo avuto un aumento di richieste da parte di giovani legate al comportamento violento. La violenza è vista come soluzione ai problemi”.
A cura di Eleonora Panseri
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"Nell'ultimo anno abbiamo avuto un aumento di richieste da parte di giovani relativamente al loro comportamento violento. Noi lavoriamo proprio sulla violenza e sulle sue modalità di manifestazione, dallo stalking alla violenza psicologica. La violenza dilaga perché si pensa che rappresenti la soluzione ai problemi. In apparenza funziona, il meccanismo è: ti faccio violenza, ti zittisco, ti annullo e quindi vinco io. Ma questo assunto viene smentito dal fatto che la violenza chiama altra violenza, quindi funziona solo in apparenza; vince invece il principio della sopraffazione dell'uomo sulla donna".

A raccontare e spiegare quanto sia radicata e come funzioni la violenza di genere, anche nelle nuove generazioni, è Gian Arturo Rota, coordinatore dell'equipe tecnica de La svolta, associazione di Bergamo composta da un'equipe mista (tre operatrici e tre operatori) che dal 2018 si occupa del recupero di uomini autori di violenza e di fare prevenzione sul tema.

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"Noi cerchiamo di lavorare in primis sulle origini culturali della violenza e sugli effetti del modello del patriarcato, che ancora influenza le relazioni uomo-donna. C'è un sistema culturale e sociale, costruito dagli uomini, che ha stabilito le regole in maniera parziale, dominante e privilegiata, decretando una presunta superiorità del genere maschile su quello femminile. Da qui, sopraffazione, offese, umiliazioni, controllo, ecc. È una storia che ci portiamo dietro da millenni. Lo vediamo anche nelle scuole medie e superiori, dove facciamo formazione e sensibilizzazione. Nelle parole di Elena, sorella di Giulia Cecchettin, ci sono passaggi in cui sottolinea appunto come tutti e tutte subiamo questo sistema e il relativo sbilanciamento a favore degli uomini", aggiunge Rota.

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Cosa è emerso durante gli incontri organizzati negli istituti sul tema della violenza di genere?

Dal nostro punto di osservazione abbiamo notato che questa cultura è ancora ben radicata, a partire dal linguaggio, sessista e farcito di stereotipi. Quando entriamo nelle classi miste facciamo una provocazione e salutiamo dicendo: "Buongiorno, ragazze". Le prime a sollevarsi sono le ragazze: "Poverini, chiamate i ragazzi ‘ragazze'". Questo esempio serve per far capire loro come il maschile sia entrato prepotentemente nel tessuto sociale e nelle relazioni affettive e ci rendiamo conto di come sia difficile metterlo in discussione.

Sottolineiamo sempre che le donne hanno dovuto e devono ancora lottare per acquisire i loro diritti in quanto donne, ma anche la loro determinazione a opporsi all'egemonia del maschile e a richiedere una parità vera tra i generi. Pertanto, stimoliamo a uno sguardo e a azioni più rispettose e più consapevole. Vediamo stupore nei ragazzi e nelle ragazze, ma anche la capacità di comprendere che c'è qualcosa che non va, la voglia di farsi domande.

Le nuove generazioni hanno possibilità di informazione, di conoscenza notevoli, immediate e sorprendenti. Eppure, mancano di punti di riferimento solidi, i loro hanno una durata parziale e cambiano continuamente, questo le rende insicure, inquiete, ansiose. Eppure nello stesso tempo, mettendoci ascolto, ci rendiamo conto delle loro potenzialità di riflessione, di cambiamento di paradigmi, di desiderio di relazioni sane.

Quanto influisce la famiglia in questo tipo di dinamiche?
La cultura dominante maschile si respira ovunque, a partire dalla famiglia, dove sono radicate le prime forme di stereotipi e pregiudizi di genere (vedi la gestione dei lavori domestici, ad esempio). Proprio la famiglia tuttavia, insieme alla scuola, può essere il primo luogo della rivoluzione culturale e del cambio di paradigma.

E i nuovi strumenti tecnologici?

L'incremento della violenza è anche legato alla deriva nell'utilizzo dei nuovi mezzi tecnologici, che danno l'idea di un potere illimitato, con azioni ossessive attraverso messaggi, immagini, controllo (abbiamo avuto in percorso, per esempio, un giovane giunto a circa 200 messaggi e 40 telefonate in un giorno). Tutti elementi che assumono forme di pressione, ricatto, minaccia e che hanno un'azione molto potente perché generano angoscia, paura (anche del giudizio altrui) e vergogna, anche sociale.

Da dove può nascere un comportamento violento?

A partire dal linguaggio. L'utilizzo di parole o espressioni sessiste e discriminatorie è il primo passo nell'assumere un comportamento violento. Il linguaggio genera il pensiero, il pensiero genera la convinzione, la convinzione genera l'azione. Sono questi i cardini che noi cerchiamo di disintegrare, per aiutare chi fa violenza a comprendere che alla violenza c'è alternativa.

Bisogna anche abbattere il luogo comune che dietro al comportamento violento ci siano persone malate, disturbate o che provengono da ambienti malfamati o da contesti di miseria. I profili degli uomini che si rivolgono a noi ce lo confermano: abbiamo a che fare, nella quasi totalità, con persone sane, lucide e che fanno violenza sapendo di farla e che la mettono in atto in maniera chirurgica.

È l'assunzione di responsabilità che manca, il riconoscere che la violenza agita è un atto voluto e pensato. L'uomo invece redistribuisce tale responsabilità sulla donna: ‘È lei che mi critica in tutto, è lei che mi provoca, è lei che mi ha fatto esplodere'. Una delega che tende a spostare all'esterno un comportamento che nasce dall'interno e su cui non c'è adeguata riflessione, anche sugli effetti distruttivi in chi la subisce.

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In tutto questo quanto influisce invece la consapevolezza delle ragazze?

Come detto prima, il condizionamento culturale riguarda le stesse ragazze e le stesse donne, che con la propria "accondiscendenza" (nel senso di sottovalutazione, comprensione, perdono, ecc) legittimano la predominanza maschile. È vero che oggi non si dice più a una figlia, come avveniva cinquant'anni fa, che il suo destino è di diventare moglie e mamma. Ma resiste ancora molto forte il luogo comune che la donna è destinata al lavoro di cura e di accudimento.

Il fatto che le ragazze si sollevino a difendere i compagni che vengono chiamati ‘ragazze' è un condizionamento che loro stesse portano dentro. Nelle scuole ci capita spesso di sentire frasi come: ‘Ma se lui mi controlla, significa che si preoccupa per me', oppure ‘Se mi dice di non vestirmi in questo modo è perché mi protegge'.

Sono pensieri e parole che rendono impossibile alla donna di vivere una reale autonomia, di seguire il proprio desiderio di essere come sente e si sente. Perché lui la considera sua e la vuole controllare e limitare, la sua libertà è quella che le concede lui. Dietro questo comportamento tra l'altro, c'è anche la paura che lei possa incontrare qualcuno migliore di lui e perdere quindi il confronto.

Come si possono prevenire e cambiare queste dinamiche?

Chi detiene oggi, il potere? In gran maggioranza, gli uomini. Questa società non può cambiare, finché non cambiano le condizioni di partenza. Se gli uomini continuano ad agire in nome di una presunta superiorità per mantenere uno status quo con vantaggi e privilegi, chi ha l'interesse a modificarlo, visto che agli uomini porterebbe svantaggi e fatiche? Si tratta proprio di una questione di matrice culturale.

Le donne stanno piano piano occupando ruoli di responsabilità e questo fa paura perché l'uomo non sa reggere il confronto in maniera "democratica" e simmetrica. E per questo mette in atto comportamenti non sani o non corretti, con la logica appunto dell'averla vinta o del "ho ragione io e tu torto". Finché ci saranno uomini che avranno la presunzione di fare sempre giusto, e dall'altra parte donne portate a pensare che quel tipo di pensiero non sia sbagliato, la violenza di genere sarà difficile da abbattere.

Dobbiamo anche dire però che, seppur incontriamo molte resistenze, ci sono spiragli, vediamo nuove forme di ascolto, di sensibilità e quindi di comportamento. Viviamo ancora dentro questo clima, ma le nuove generazioni, prese sin da piccole, ci danno segni di speranza. Per questo lavoriamo nelle scuole, per far crescere la consapevolezza di relazioni uomo-donna più sane e paritarie, nel riconoscimento reciproco di bisogni, spazi, desideri anche individuali.

Ci sono inoltre movimenti, reti e organizzazioni che cercano di unire le forze per richiamare, nei cittadini e nelle cittadine, così come in coloro che hanno ruoli di responsabilità collettiva, un'attenzione sempre maggiore e puntuali azioni per il cambiamento nelle relazioni.

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