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Cinque misteri irrisolti del caso del Mostro di Firenze

Cinque misteri rimasti senza spiegazione nella storia che ha terrorizzato l’Italia.
A cura di Angela Marino
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Tra il 1968 e il 1985 otto duplici omicidi hanno insanguinato le campagne toscane. Vittime erano giovani amanti che venivano sorpresi e uccisi nell’intimità in cui si appartavano, in auto, tra gli alberi. Del serial killer toscano si è occupata anche l’FBI. Pietro Pacciani, ritenuto insieme ai ‘compagni di merende, uno dei killer, è morto mentre attendeva la sentenza di una vicenda che nasconde ancora molti misteri.

La strana storia di Natalino Mele, il bambino che vide il mostro

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L'inizio del ciclo di inenarrabile orrore dei delitti del mostro viene identificato con il duplice omicidio di Barbara Locci (32 anni) e Antonio Lo Bianco (29), avvenuto la notte del 21 agosto 1968. Casalinga di origini sarde, sposata e madre di un figlio, la Locci era soprannominata in paese ‘l'Ape Regina' per le sue numerose relazioni extraconiugali, alcune consumate proprio nella casa che divideva con il marito Stefano Mele, anche lui di origini sarde. La notte del 21 agosto i due sono appartati in una Giulietta bianca parcheggiata nelle campagne vicino al cimitero di Signa (Firenze), quando l'assassino o gli assassini li sorprendono con 8 colpi di pistola. Sul sedile posteriore dell'auto, testimone della terribile scena, c'è il piccolo Natale, sei anni, il figlio della donna. La sua presenza non era stata notata e neanche messa in conto, probabilmente, dall'aggressore. Intorno alle due di notte Natalino bussa alla porta di una casa dicendo: "Apri, ho sonno, il mi' babbo è malato e la mamma e lo zio sono morti". Il piccolo non calza le scarpe ed è apparentemente solo. Come ha potuto raggiungere un'abitazione distante due chilometri dal luogo dell'aggressione, sotto choc e scalzo, senza neanche sporcarsi o strapparsi i calzini? Secondo una teoria che solo la testimonianza di Natalino Mele potrebbe confermare, fu proprio ‘il mostro' a caricarlo sulle spalle e trasportarlo fino alla casa dei De Felice, in via del Vingone. Dopo quella traumatica esperienza, diventato adulto, Natale Mele, ha rilasciato dichiarato al giornalista Mario Spezi di non avere degli strani vuoti di memoria, frutto di quello che lui chiama un ‘lavaggio del cervello'. Natalino Mele è stato fotografato l'ultima volta ad una manifestazione contro gli sgomberi delle case occupate davanti alla Prefettura di Firenze.

Il mistero dell'arma del delitto

I delitti del mostro sono stati identificati dagli esperti dell'FBI, in base a tre criteri: collocazione geografica, modus operandi e tipo di arma utilizzata, una pistola calibro 22 con una “H” punzonata sul fondello. Proprio questa, usata per tutti i sedici omicidi, è considerata, insieme alle orrifiche mutililazioni subite dalle vittime femminili, la firma del serial killer. La pistola che ha ucciso coppie 8 coppie di giovani amanti non è mai stata ritrovata. Nel corso degli anni alcuni prototipi di Beretta non registrati con numeri di serie non registrati sono state esaminate di volta in volta per nel vano tentativo di trovare l'arma del mostro. Un elemento che potrebbe aiutare a ricomporre tutti i pezzi del puzzle.

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Dove finivano i pezzi tagliati dei corpi

"Mario (Vanni) mi disse che Pacciani voleva farli mangiare alle figliole" . Giancarlo Lotti, l'accusatore di Vanni e Pacciani e presunto testimone dell'ultimo omicidio, interrogato il 12 marzo 1996 negli racconta al pm Paolo Canessa e al capo della mobile Michele Giuttari dell'uso che Pacciani avrebbe fatto delle parti dei corpi femminili che mutilava e portava via dalla scena. Pacciani nega, sebbene a quelle stesse figlie che vengono tirate in ballo nei racconti del Lotti, quelle che violentava quotidianamente, avesse dato da mangiare per anni cibo per cani. Come ogni altra dichiarazione, anche questa di Giancarlo Lotti, ricattato dai ‘compagni di merende' per le sue tendenze omosessuali, non può essere verificata. Spesso il senzatetto Lotti aveva fatto dichiarazioni contraddittorie e reticenti, risultando non sempre credibile. Determinare a che scopo venissero prelevati i feticci può essere determinante per ricostruire il profilo del killer. I feticci vengono generalmente usati come trofei dai serial killer affetti o per cannibalismo. Escludendo che servissero come strumento di minaccia a scopo di estorsione (come avviene nei rapimenti) si è a lungo creduto che venissero utilizzati per riti satanici o rivenduti a tale scopo a committenti. Da qui l'ipotesi di un secondo livello, di mandanti illustri (professionisti e borghesi) che si sarebbero serviti dei contadini per avere feticci da utilizzare per orge e riti satanici.

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Il medico

Per anni si è creduto che il mostro fosse un individuo con una formazione medica. La tecnica ‘chirurgica' con cui sezionava i cadaveri aveva suggerito questa idea, alimentata anche da certo giornalismo che amava la figura del tenebroso medico che nelle notti di novilunio andava per boschi ad ammazzare coppiette. La figura di un medico tuttavia, entra in questa storia nel 1985, con il ritrovamento di un cadavere avvenuto il 13 ottobre. Il corpo di Francesco Narducci, medico e docente universitario, viene ripescato nel lago Trasimeno dopo l’ultimo omicidio del mostro. Viene successivamente riesumato quando si profila il collegamento con i delitti del mostro in cui lo stimato medico fiorentino viene ritenuto coinvolto. Quando i medici esaminano il corpo si accorgono che quello sottoposto ad autopsia all'epoca dei fatti non era il corpo di Narducci, ma quello di uno sconosciuto annegato nel lago. I parenti del medico vengono inquisiti con l'accusa di occultamento di cadavere per aver sostituito il corpo. Il cadavere – quello appartenente realmente al Narducci – viene esaminato nel 2002 portando alla luce la vera causa della morte: l'omicidio. Il professore è stato strangolato ed è certamente morto in circostanze e luoghi diversi da quelli identificati in prima battuta dagli inquirenti. Secondo la ricostruzione dei pm, Narducci e altri personaggi influenti legati alla massoneria, cui Ugo Narducci, padre di Francesco, era associato, hanno commissionato e coperto i delitti del mostro. In questa ipotesi i feticci avrebbero potuto essere utilizzati per riti satanici. La loggia sarebbe stata coinvolta anche nella sostituzione del cadavere di Narducci, eliminato, sempre in questa ipotesi, perché era a conoscenza di particolari scottanti. L'inchiesta naufraga per mancanza di prove e gli indagati prosciolti. Nell'ambito del caso Narducci era stato indagato – e incarcerato – anche il giornalista fiorentino, Mario Spezi.

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Le morti sospette

Nella vicenda del mostro di Firenze, si intrecciano tra loro una serie di morti ‘sospette' tutte collegate ai personaggi della storia. Il 23 dicembre 1980 muore impiccato nella sua casa di Sambuca il contadino Renato Malatesta, marito di Maria Antonietta Sperduto, una donna che aveva rapporti con Pacciani e Vanni. I suoi piedi toccavano terra. Il ‘mago' Salvatore Indovino muore per cause naturali nel 1985, quando si interrompono i delitti del mostro (l'ultimo duplice omicidio risale al 7 settembre). Secondo alcuni nel suo casolare di San Casciano ospitava orge e riti satanici: protagonista di questi festini era Milva Malatesta, figlia di Renato, morto impiccato. Anche lei muore bruciata viva insieme al figlio Mirko, di tre anni, nella propria auto, nel 1993. Pochi giorni prima, Francesco Vinci, fratello di Salvatore arrestato e scagionato per i delitti del mostro, viene trovato morto insieme al conterraneo, Angelo Vargiu. I loro corpi vengono trovati incaprettati (legati mani e piedi dietro la schiena). La convivente del figlio di Salvatore Vinci, Milvia Mattei, prostituta, viene uccisa e bruciata nella sua casa di San Mauro a Signa. Nel 1995 muore in un incidente stradale Claudio Pitocchi, un testimone al processo Pacciani. E in quegli anni scompare anche lo svizzero indicato nell'inchiesta come l'organizzatore di festini erotici nella fiorentina Villa la Sfacciata. Sotto la lente anche la morte dello stesso Pietro Pacciani, stroncato il 22 febbraio 1998 da un infarto nella sua casa di Mercatale, mentre era in attesa di un nuovo processo dopo il verdetto che lo riconosceva innocente, in appello. Una delle ipotesi è che gli fossero stati somministrati farmaci che potrebbero aver indotto un arresto cardiaco.

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