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Che cosa ha spinto Sacha Chang ad uccidere e perché avrebbe potuto farlo ancora

Perché è possibile che Sacha Chang abbia commesso il duplice omicidio in preda a degli impulsi incontrollabili di rabbia.
A cura di Anna Vagli
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Sacha Chang, il ventunenne olandese sospettato di aver ucciso il padre e l'amico di famiglia
Sacha Chang, il ventunenne olandese sospettato di aver ucciso il padre e l'amico di famiglia

Sacha Chang, il ventunenne olandese sospettato di aver ucciso a coltellate il padre Chainfa Chang, sessantacinque anni, e Lambertus Ter Horst, sessantenne amico di famiglia, è stato ritrovato nudo. Spogliato persino degli abiti intrisi del sangue delle sue vittime. Quaranta le ore da fuggiasco. Non ha mai mangiato, ha vagato nel nulla e tra le frasche della fitta vegetazione. Solo con sé stesso, i suoi pensieri ed i ricordi di quanto commesso. Se poi, questi ultimi, fossero nitidi o sbiaditi, questo sarà lui a raccontarlo. In preda ai suoi deliri, e totalmente disarmato, dopo un lungo girovagare per i boschi, si è arreso alla stanchezza e allo stress emotivo. Dopo essersi idratato con l’acqua del torrente, si è addormentato su di una panchina di legno, nei pressi di un crinale che divide le località di Pamparato e Torre Mondovì, tra Piemonte e Liguria.

Lì è stato fermato dai carabinieri. Gli interrogativi, fin dal momento immediatamente successivo ai fatti di sangue, sono stati molteplici. Ma, fino a due giorni fa, sono stati soffocati dal terrore di avere un assassino in fuga. Di lui sono state immediatamente diffuse le generalità e l’identikit. E le amministrazioni comunali hanno addirittura deciso di annullare gli eventi in piazza. Una vera e propria caccia all’uomo che ha impegnato oltre duecento carabinieri. Tutti in prima linea con l’intento di fermare il killer.

Ma adesso che i timori per l’incolumità dei cittadini sono spariti, riaffiorano tutte le questioni iniziali. Che cosa è successo davvero nel cuneese? Le prossime ore saranno quelle decisive. Difatti, dopo essere stato accompagnato al pronto soccorso di Mondovì, oggi Sacha Chang si trova detenuto in carcere ed è sorvegliato a vista. Nei prossimi giorni è attesa l’udienza di convalida del fermo.

Che cosa ha spinto Sacha ad uccidere? 

Secondo quanto reso noto, almeno attualmente, non vi sarebbero documenti in grado di certificare un qualche disagio psichico di Sacha. Tuttavia, l’intera vicenda lascia pochi dubbi in merito. Dubbi che verranno quasi certamente fugati proprio dal rinvenimento di una diagnosi di natura psichiatrica. In questo senso, lo avevano capito tutti, anche i non addetti ai lavori, che da fuggiasco Sacha era un soggetto pericolosissimo per gli altri. E avrebbe potuto uccidere ancora. Certamente continua ad esserlo dietro le sbarre, ma solo per sé stesso. Non a caso è sorvegliato a vista.

Dalla criminodinamica è lampante come il duplice omicidio sia verosimilmente scaturito da un incontenibile esplosione di rabbia. Rabbia che così espressa altro non si traduce se non in un indicatore psichiatrico inequivocabile. Dunque, anche se al momento non sembrano esserci ufficiali riscontri medici, è difficile negare che il giovane sia affetto da gravi disturbi di personalità. E ciò trova conferma rispetto a quanto è accaduto. Dato che Sacha, ed i soggetti come lui, se non costantemente supportati con le dovute cure psichiatriche, possono rivelarsi letali. E Sacha letale lo è stato. Per suo padre e per il loro amico di famiglia. Le malattie mentali, infatti, rendono impossibile il controllo degli impulsi e la gestione delle emozioni intense per chi ne è affetto. Di conseguenza, anche una banale lite può essere di per sé sufficiente ad innescare la miccia. E a provocare reazioni sproporzionate rispetto a determinate situazioni o a determinati accadimenti. Non è neppure escluso che Chang sia stato risucchiato da uno di quei deliri capaci di distorcere totalmente la realtà e le relative funzioni cognitive. Anch’esse tipiche manifestazioni di gravi patologie psichiatriche.

Queste sono le ragioni per le quali, in questo caso di duplice omicidio, sarà imprescindibile non soltanto una corretta, e non solamente superficiale, valutazione della storia clinica di Sacha. Oltre, chiaramente, alla disposizione di una perizia psichiatrica. In modo da poter effettivamente valutare la capacità di intendere e di volere del giovane al momento degli omicidi. In questo senso, guardando il quadro generale, quest’ultima potrebbe davvero risultare viziata. Parzialmente o addirittura totalmente. Abbiamo a che fare con un soggetto che si è nascosto nella boscaglia e ne è uscito solamente per procurarsi da bere. Un individuo completamente instabile, che ha dimostrato di sperimentare sensazioni di totale perdita di controllo. Non soltanto per i presunti fatti di sangue da lui commessi, ma anche per il tentativo disorganizzato di fuga. Una fuga improvvisata in un bosco, senza alcuna progettualità. In balia non solo del contesto, ma anche di sé stesso. E della distorta concezione riuscire ad auto preservarsi rispetto alle conseguenze di quanto commesso. Una concezione che, a mio avviso, potrebbe ancora non aver compreso in pieno. Come testimoniano anche le circostanze del suo ritrovamento.

Quale movente?

Tornando ai fattori scatenanti, in quest’ottica è del tutto irrilevante sforzarsi di trovare un movente. Perché, come argomentato, nell’ottica di ipotetiche problematiche psichiche, non sono rintracciabili precise motivazioni. Che, comunque, si rivelerebbero ininfluenti in qualsiasi caso. In tema di omicidi, infatti, a livello giurisprudenziale si ammettono condanne anche laddove il movente risulti assente. Diversa, chiaramente, sarebbe l’ipotesi del riconoscimento di un qualche disturbo psichiatrico ove venisse disposta la perizia. In quel caso, ragionando in termini di riconoscimento di responsabilità, la partita si giocherebbe in termini di incapacità di intendere e di volere al momento del fatto.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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