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Opinioni

Care lettrici, con queste donne al comando non andiamo da nessuna parte

Se è vero che a parità di competenze le donne non devono rimanere indietro nell’accesso al lavoro, alla carriera e al salario e che quindi la parità in questo senso è una questione di giustizia, non è così vero però che le donne che hanno ruoli di comando si occupino poi dei diritti e della libertà delle altre donne. La fine della 194 ne è una dimostrazione.
A cura di Sabina Ambrogi
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Nei giorni che hanno preceduto la giornata dell'8 marzo i media si sono concentrati sui traguardi raggiunti dalle donne, sui cambiamenti in positivo di mentalità e di cultura, sulla strada che c'è ancora da fare. Si registrano cambiamenti di passo almeno per quanto riguarda il raggiungimento di posti di comando (e il governo Renzi ne è una conferma visto che per la metà è composto da donne), sale anche se di solo lo 0,5% (dati Istat) l'occupazione femminile, così come aumentano le donne al vertice anche nel settore privato dove registra il 15,1% di dirigenti e il 28%,4 dei quadri donna. L'idea della donna in un posto di comando ingloba due principi fondamentali: il primo è che non si vede perché a parità di competenze le donne dovrebbero guadagnare meno degli uomini o fare meno carriera, o avere un ruolo esecutivo e non dirigenziale, o manageriale, il secondo, è che una donna nella stanza dei bottoni capisca meglio le esigenze delle sue congeneri alle quali gli uomini sono spesso sordi, o deviati da secoli di patriarcato, e via di seguito in una filiera virtuosa di uguaglianze.

Ma è vero che le donne al comando si occupano di questioni che travolgono e limitano la vita delle donne, o si tengono invece ben salde alle loro carriere sfruttando e manipolando però la “questione delle donne”?

La scorsa settimana c'è stato un interessante battibecco al senato tra Carfagna e Boschi durante il convegno per celebrare i vent’anni dalla Dichiarazione di Pechino: la prima ricordava la gravità (sacrosanta) che non abbiamo più una ministra delle Pari Opportunità che possa sedersi ai tavoli dell'Onu per esempio in occasioni di importanti confronti internazionali, la seconda ha risposto che la parità in Italia si invera oggi nell'attuale governo, composto per la metà da donne. E quindi a che servirebbe? Si è trattato di uno scontro tra titani. E' difficile non ricordare Mara Carfagna allora ministra delle Pari Opportunità spedita all'aeroporto a prendere Gheddafi come fosse una valletta di governo, per portare il dittatore libico in visita trionfale in Italia a parlare davanti a un pubblico di imprenditrici italiane (figlie di papà imprenditori) sulla “libertà delle donne africane”. Proprio lui che le donne le violentava, segregava, torturava e faceva abortire. Solo questo episodio fa preferire che non esistano mai più equivoci di questo tipo sul ruolo di ministra delle Pari Opportunità. E allora quasi meglio non averla se deve essere questo. E come dimenticare le esternazioni di Carfagna sulla Ru486? Si potrebbero allineare tantissimi episodi, ma forse oggi la cosa realmente più grave in corso perché coinvolge la libertà fondamentali della donna, della gestione autonoma del proprio corpo e soprattutto la sua salute è la cancellazione di fatto della legge 194, cioè della legge che garantirebbe l'accesso all'aborto.

Nessuna delle ministre di Renzi dell'attuale “governo della parità” ha mai preso una sola posizione a riguardo. Marianna Madia ha definito l'aborto “il fallimento della politica, un fallimento etico, economico, sociale e culturale.” La ministra della Salute Lorenzin semplicemente lo rimuove, come rimuove le indicazioni sull'uso del preservativo dal portale del suo dicastero (basta cercare in rete il ministero della salute francese con quale profusione di dettagli e raccomandazioni si dilunga invece sull'importanza del preservativo), così come si rimuove l'importanza dell'educazione sessuale nelle scuole. Delegandola invece a Youporn. La ministra della Salute però presenzia negli studi di tutte le tv per dire che le donne in Italia non procreano più come dovrebbero, e che danno è mai questo per il paese, bypassando ovviamente le questioni di lavoro, dimissioni in bianco, disoccupazione, mancanza di asili, che renderebbero la maternità non una condanna ma la realizzazione di un desiderio. Maria Elena Boschi, semplicemente, non ritiene la questione della 194 da riformare né da sollevare. Proprio non la riguarda. Rilascia però interviste su giornali patinati in cui si lagna di non essere ancora fidanzata e che vuole tanti bambini e che, accidenti, è anche un po' ingrassata.

I diritti sarebbero un'altra cosa. Queste donne qui “al comando” non hanno affatto a cuore le questioni delle altre donne. Bisognerebbe invece passare una giornata con la ginecologa Lisa Canitano dell'Associazione di volontari Vita di Donna che dà indicazioni a giovani disperati che chiamano da tutte le parti d'Italia perché non sanno dove reperire “la pillola del giorno dopo” visto il dilagare del “farmacista obiettore”, il pronto soccorso che non prescrive, i consultori chiusi nel week end. Chi è di Roma attraversa la città di corsa per avere la prescrizione della pillola. Chi è fuori riceve conforto, indicazioni mediche, numeri di telefono di professionisti a cui rivolgersi. A volte, sulla porta dei pronto soccorso si delega la prescrizione ai volontari.Un diritto è diventato un esercizio clandestino, esercitato da un gruppo di persone coscienziose che regalano il loro tempo per sopperire il fallimento della politica.

L'altro giorno, e non è certo un caso isolato, una diciassettenne genovese ha ingerito una pasticca contro l'ulcera per procurarsi l'aborto, vista la difficoltà di ottenere la Ru486 (farmaco usato da vent'anni in tutto il mondo, in alternativa all'aborto chirurgico, introdotto in Italia nel 2010. Ma solo Emilia, Umbria, e da poco anche il Lazio prevedono un protocollo senza i tre giorni obbligatori in ospedale). Il fidanzato della ragazza (maggiorenne) è oggi indagato con l'accusa di procurato aborto.

Il reparto di ginecologia dell'ospedale San Camillo di Roma pare che verrà gestito da un ginecologo obiettore di coscienza. E' nata una petizione on line per scongiurare l'ipotesi appellandosi al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. Il San Camillo è uno dei pochi ospedali romani dove si pratica l'interruzione di gravidanza, al quale andrebbe sottratta anche questa chance.

Il 9 marzo si voterà la Risoluzione Tarabella al Parlamento Europeo. Questo si dice in un passaggio fondamentale la Risoluzione:

Il Parlamento europeo (…) insiste sul fatto che le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all'aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l'accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare gli uomini sulle loro responsabilità in materia sessuale e riproduttiva.

Questa risoluzione è l'ultima frontiera europea alla quale le donne possono appellarsi per vedersi riconosciuti i propri diritti. Come voteranno i parlamentari del Pd si può solo scoprire a breve.

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Autrice televisiva, saggista, traduttrice. In Italia, oltre a Fanpage.it, collabora con Espresso.it. e Micromega.it. In Francia, per il portale francese Rue89.com e TV5 Monde. Esperta di media, comunicazione politica e rappresentazione di genere all'interno dei media, è stata consigliera di comunicazione di Emma Bonino quando era ministra delle politiche comunitarie. In particolare, per Red Tv ha ideato, scritto e condotto “Women in Red” 13 puntate sulle donne nei media. Per Donzelli editore ha pubblicato il saggio “Mamma” e per Rizzoli ha curato le voci della canzone napoletana per Il Grande Dizionario della canzone italiana. E' una delle autrici del programma tv "Splendor suoni e visioni" su Iris- Mediaset.
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