La guerra ritarda l’inaugurazione del Grand Egyptian Museum: “Sembra la maledizione di Tutankhamon”

"Alla luce degli attuali sviluppi regionali, è stato deciso di rinviare l’inaugurazione ufficiale del Grand Egyptian Museum (GEM) prevista per il 3 luglio". Un comunicato secco, stringato, quello del 14 giugno scorso emanato dal Ministero egiziano del Turismo e delle Antichità (MoTA). Si è poi aggiunta una nota diramata una settimana fa in cui viene smentita la notizia della falsa data del 4 novembre circolata sui social media e su alcuni siti online, ribadendo che “l’annuncio sarà fatto a tempo debito e attraverso i canali ufficiali” e che “la data è stata posticipata all’ultimo trimestre dell’anno in corso”, anche “per garantire la presentazione di questo evento in una forma che si addice alla grandezza della civiltà egizia e al suo patrimonio unico”.
Le reazioni all’ennesimo rinvio
L’avviso è chiaro: c’è la guerra e non possiamo rischiare che una manifestazione di portata internazionale sia minata da paure, falle nella sicurezza e magari defezioni di grosse personalità invitate. Non si fanno attendere le reazioni degli utenti sulle pagine social del MoTA, poco meravigliati dall’ennesimo rinvio e senza toni polemici, in un Paese come l’Egitto dove, si sa, il controllo è di casa. Si va dalla preoccupazione sulle “delegazioni straniere che possono essere prese di mira” alla richiesta di fermare i festeggiamenti per “rispettare i bambini che muoiono a Gaza tutti i giorni” e “i vicini arabi musulmani che vengono uccisi anche in diretta video”, all’elogio della leadership egiziana perché effettivamente “c’è bisogno di una promozione e una preparazione ad alto livello”, all’aspettativa di un’inaugurazione “che faccia tremare il mondo perché è leggendaria”, fino all’amara ironia del “è peggio della maledizione di Tutankhamon: ogni volta che decidono di aprire accadono disastri”. Tra chi parla di “nuovo lockdown” e chi di “saggia decisione” del Governo, c’è poi Ibrahim che ribadisce con forza quanto “questo museo non è un edificio qualunque, questa è storia che respira”.
Il dietro le quinte dello “spettacolo”
Il rinvio, comunque, riguarda l’inaugurazione e non l’apertura, dal momento che il GEM è già in parte visitabile e mancano all’appello espositivo soltanto le due Gallerie con il tesoro di Tutankhamon e lo spazio museale dedicato alle barche di Cheope. Equilibri politici poco stabili per la guerra Iran-Israele la cui tregua non convince, preparativi impegnativi, ansia da notte prima degli esami. I motivi del procrastinare ci sono tutti, mentre il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi si dichiara favorevole a consolidare l’armistizio tra i due Paesi belligeranti e a tornare al tavolo del negoziato con Washington. D’altronde il battesimo ufficiale del Gran Museo Egizio non è una faccenda da confinare all’egittologia, perché dietro l’economia dell’intrattenimento turistico si cela la narrazione istituzionale che il Paese vuole dare di sé attraverso un’immagine positiva di efficienza e modernità, in modo da attrarre i visitatori benestanti e i loro soldi. Denaro utile al fragile bilancio se l’inflazione cresce, la sterlina egizia si svaluta e aumenta il divario tra le classi povere e l’élite. È così che il reperto archeologico è destinato a diventare inevitabilmente icona per legittimare un messaggio politico.
Dal Museum del Cairo al Grand Museum della piana di Giza
Ha fatto sognare intere generazioni di egittologi, turisti e appassionati l’affascinante museo egizio del Cairo, l’Egyptian Museum, che riporta alle atmosfere narrate da Agatha Christie. L’edificio di inizio Novecento nella centrale piazza piazza Tahrir (costruito da una ditta di italiani residenti al Cairo) sta ora per cedere il passo, anche se non verrà chiuso, al nuovo Grand Egyptian Museum (GEM). Il vecchio accompagnerà il moderno, ma da adesso in poi a rubare la scena sarà la costruzione mastodontica di cinquecentomila (e una superficie espositiva di trentaduemila) metri quadrati sulla piana di Giza, a un paio di chilometri dalla famosa Grande Piramide di Cheope che si potrà intravedere, insieme a quella del figlio Chefren, da una panoramica vetrata che unisce idealmente il museo al sito archeologico. Del resto la singolare struttura a triangolo tronco ha le pareti nord e sud allineate con le piramidi di Cheope e Micerino.
La nuova esposizione e i percorsi di visita

Un’area pari ad ottanta campi di calcio, una decina di sportelli per la biglietteria e un passaggio di sicurezza con scanner, dodici sale, vicinanza con il nuovo aeroporto per voli charter “Sphinx” e accesso diretto dall’autostrada. La facciata, rivestita con inserti in alabastro e decorata con i cartigli dei principali sovrani egizi, è concepita quasi per interagire con il calcare lucido delle piramidi dirimpettaie. Appena varcato l’ingresso, nello sconfinato atrio interno, senza porte che limiterebbero la sensazione di vastità e dal quale si accede a un ampio settore dedicato a ristoranti, bookshop e negozi di souvenir, si apre subito allo sguardo di chi entra uno scenografico scalone. Se non lo si vuole percorrere fino alla fine, un tappeto mobile laterale e un ascensore inclinato per disabili consentono di raggiungere il livello più alto dove comincia il viaggio nel tempo, dalla preistoria all’età romana. Si snodano così i vari percorsi in successione cronologica, suddivisi in aree tematiche su società, regalità, credenze religiose e funerarie, attraverso i reperti provenienti da molti dei siti archeologici più importanti della valle del Nilo. Accompagnano la visita anche le installazioni digitali all’avanguardia, che permettono di esplorare i vari aspetti del vivere egizio in modo innovativo e interattivo.
Il benvenuto di Ramesse II
Il compito di accogliere i visitatori all’entrata è affidato ad una monumentale statua di Ramesse incedente, di granito rosso. Una scultura, di circa dodici metri di altezza e ottantatré tonnellate di peso, precedentemente piazzata in una rotonda davanti alla stazione dei treni del Cairo in mezzo al traffico e allo smog, e in seguito portata nel cantiere del GEM ad agosto 2007. Il gigante egizio ha atteso undici anni prima di essere sistemato al coperto, per l’appunto dentro l’atrio del museo in costruzione. Nel gennaio del 2018 ci volle un’ora per far compiere al colosso, imbracato su due camion, quattrocento metri fino al definitivo posizionamento, sulle note della marcia trionfale dell’Aida suonate dalla fanfara militare, alla presenza di ministri, autorità locali e ambasciatori stranieri, il tutto in diretta tv. Lentamente. Come la storia del GEM, lunga e accidentata.
Le battute d’arresto e la complessa nascita del GEM

Il progetto di un nuovo museo viene annunciato nel 1992. Tre anni dopo una commissione italo-egiziana stabilisce un primo piano di fattibilità e imposta le linee espositive (la proposta di spostare nella nuova sede il tesoro di Tutankhamon suscita all’epoca non poche reazioni contrarie), ma la prima pietra è posta nel 2002 dal presidente Hosni Mubarak. L’anno successivo, dopo un concorso internazionale, l’appalto per la progettazione viene affidato allo studio di architettura irlandese Heneghan Peng e al rinomato gruppo belga dell’edilizia Besix. La commissione italo-egiziana del 1995 aveva stabilito un costo globale intorno agli ottocento milioni di dollari. Nel corso del tempo la cifra lievita fino a superare il miliardo e duecento milioni. Arriva, intanto, il consistente prestito nipponico per la realizzazione di sale che ospiteranno ventiduemila manufatti, tra cui gli oggetti trovati da Howard Carter nella tomba di Tutankhamon. Mentre si svolgono le operazioni di messa in sicurezza del terreno e ci si occupa anche della costruzione di una centrale energetica per fornire elettricità e aria condizionata, gli avvenimenti esterni rallentano il proseguimento dei lavori. Dai tumulti della Primavera araba del 2011 e la caduta di Mubarak fino al Covid nel 2020.
Prove di propaganda
Sono trascorsi ventidue anni dalla posa della prima pietra del GEM. E centotré anni dalla scoperta della tomba di Tutankhamon (4 novembre 1922), duecentotré dalla decifrazione dei geroglifici (14 settembre 1822), date che hanno lasciato un’impronta indelebile nell’immaginario collettivo occidentale. Uno sguardo miope potrebbe non scorgere nella cerimonia di inaugurazione del GEM (si dice anche completa di trasporto in pompa magna della maschera d’oro di Tutankhamon dal vecchio al nuovo museo) un’autocelebrazione della propria identità culturale riscattata dal doloroso processo post-coloniale. A guardare, invece, da un’altra prospettiva si palesa uno show business funzionale alla propaganda del potere che in tali modi lega a sé il consenso popolare: rispolvera il mito antico e lo rifonda con gli accenti del moderno. Esistono del resto gli illustri precedenti. Non è lontano nel tempo il mega-trasloco mediatico del 2021, la Pharaoh’s Golden Parade, delle ventidue mummie reali dal museo di piazza Tahrir al museo nazionale della civiltà egizia. Una spettacolare parata più efficace di qualsiasi analisi sociopolitica da aula accademica.
In attesa di ottobre
Nulla di nuovo sotto il cielo del Cairo. Di certo l’elevato numero di reperti accumulati nei depositi del vecchio museo di piazza Tahrir aspettava da decenni di essere sistemato in una sede più adatta, però lunga è stata l’attesa per il moderno spazio espositivo. Aspettiamo l’autunno. Ma, adesso più che mai, la comprensione del GEM impone la logica del “mondo visto da qui”, cioè dalla prospettiva di un posto con un bagaglio millenario, oggi appesantito dalla “guerra dei dodici giorni”. Fasi e ritardi sono parte di un’unica visione d’insieme. Dinamica. Del resto è questa la funzione di un museo: mettere in movimento la Storia, passata o futura che sia, nascosta o dichiarata. Tra le righe o nei titoli. Una “storia che respira” direbbe Ibrahim, che poi ha aggiunto nel suo commento social: “Non abbiamo fretta di aprire il museo ora, ci prepariamo al momento in cui tutto il mondo starà in piedi a guardare la gloria di un Paese millenario”.