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Guerra all'Isis

Stiamo per entrare in guerra. E non ce ne siamo nemmeno accorti

L’Italia reclama un ruolo di primo piano nelle operazioni militari contro l’Isis in Libia. C’è addirittura chi si spinge a quantificare il numero di soldati da inviare al fronte libico. Senza che in Parlamento si sia ancora sentita una sola parola sulla questione. “Ripudiamo la guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali”: dove avevamo letto una cosa del genere?
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"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". Lo sappiamo: citare l'articolo 11 della Costituzione italiana non è proprio il massimo dell'originalità. Allo stesso tempo non è certo nuovo il comportamento delle principali forze di Governo del nostro Paese, che scelgono di imbarcarci nell'ennesima operazione militare. E lo fanno mettendo ancora una volta il Parlamento di fronte al fatto compiuto, con tutto ciò che questo comporta nella discussione sulla "sovranità" e sulla "libera scelta" dei parlamentari italiani, chiamati al (solito e solo) compito di ratifica di decisioni prese altrove. Senza contare il modo in cui viene comunicato al Paese il "cambio di passo" del Paese: qualche dichiarazione sparsa, qualche tweet, la solita campagna di stampa di tipo allarmistico.

Ed ha poco senso la cantilena di chi paventa il rischio di legittimare nuove (e rischiose) politiche dell'appeasement, di sottovalutare (eventuali) minacce alla sicurezza, di chiudere un occhio di fronte ad atrocità e massacri. Il nostro sistema contempla questo tipo di risposta e ha già in sé gli strumenti decisionali adeguati: la scelta, libera e non condizionabile, dei rappresentanti del popolo italiano, che deve però tenere necessariamente conto dei dettati costituzionali. In altre parole, il nostro ordinamento (grazie al cielo) non prevede che sia l'esecutivo (o parte di esso) ad imporre scelte di questo tipo e, a mero titolo di esempio, la modalità con la quale Renzi, Pinotti, Alfano e Mogherini hanno dato per scontato il nostro supporto alla guerra statunitense in Iraq e Siria è fuori da ogni logica e rispetto istituzionale (oltre che di dubbia legittimità costituzionale). È un errore, politico, strategico e morale.

Ciò non significa "restare a guardare mentre i terroristi uccidono, stuprano e fanno prigionieri". È un discorso di diverso tipo. Significa rispettare le regole fondamentali della democrazia. Cominciando da casa nostra, come ama ribadire lo stesso Renzi (per essere credibili dobbiamo dare noi per primi l'esempio, lo avrà detto in cento modi e tempi diversi probabilmente). Insomma, per esportarla, la democrazia, bisogna prima praticarla. No?

AGGIORNAMENTO: Sulla questione bisogna registrare la "frenata" del Presidente del Consiglio Matteo Renzi che ha parlato di "non lasciarsi prendere dall'isteria", confermando che "non è il tempo degli interventi e bisognerà attendere l'Onu in ogni caso". Una scelta saggia, che in parte sconfessa la fretta e l'allarmismo dei ministri degli Esteri e della Difesa. Resta da capire se e come si intenderà affrontare la questione nel luogo più adatto, il Parlamento.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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