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Yale, pugnalata a morte all’università: l’omicidio di Suzanne

A East Rock, nella cittadella universitaria di Yale, una sera di dicembre del 1998 viene trovato il corpo senza vita di Suzanne Jovin. Prima di morire aveva scritto un misterioso messaggio in tedesco.
A cura di Angela Marino
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Quel sabato sera Suzanne era veramente esausta. Aveva passato il pomeriggio a infornare pizze con i ragazzi disabili che aiutava con i volontari della Chiesa di New Haven, a pochi passi dalla cittadella universitaria di Yale. Si era divertita con loro, aveva cucinato, mangiato, ripulito e ora voleva solo tornare al campus, fare una doccia e gettarsi nel suo letto. Arrivò nel suo alloggio vagheggiando l'acqua calda che le avrebbe lavato via la farina e la fatica di quella giornata. Guardò l'enorme monitor del computer sulla scrivania e si ricordò che avrebbe dovuto scrivere a un collega che le chiedeva indietro i materiali di studio che le aveva prestato. Si sedette, aprì l'email e mandò un messaggio in tedesco che diceva più o meno così: "Cedo i materiali in prestito a una persona, ma li recuperò in tempo utile per restituirteli domani mattina".

Un omicidio all'Università

Erano le 21:02: un'ora dopo Suzanne Jovin era riversa sul selciato all'angolo tra  Edgehill Road ed East Rock Road, a quasi 4 chilometri dall'alloggio, con la gola tagliata. L'omicidio di una studentessa di Yale, nella cuore della ricca e accogliente East Rock, dove risiedevano studenti e docenti, era un colpo durissimo. Ventun anni, figlia di due affermati professionisti americani che l'avevano cresciuta a Gottingen, in Germania, Suzanne era una studentessa promettente: parlava inglese, tedesco, francese e spagnolo, era fondatrice del Club di tedesco e del programma ‘Best Buddies' che metteva in contatto studenti e disabili. Una ragazza che non aveva nemici.

Colpita alle spalle

Il fatto che un'altra studentessa fosse stata ammazzata dopo l'omicidio di Christian Prince, ucciso nel campus di Yale, il 16 febbraio 1991, era motivo di dolore e imbarazzo per l'ateneo. Da allora le misure di sicurezza erano state rinforzate, l'illuminazione nei viali potenziata, eppure qualcuno aveva pugnalato selvaggiamente una ragazza in strada. Quello della Jovin era stato un autentico massacro: il coroner trovò i segni di 17 coltellate inferte con tale forza che un frammento della lama di un coltello in acciaio al carbonio di 4-5 pollici era rimasto nella parte sinistra del cranio di Suzanne. L'avevano colpita alla schiena, a tradimento. Il corpo era stato trovato dai residenti riverso pancia a terra sul manto erboso tra la strada e il marciapiede, con i piedi rivolti verso la carreggiata. Era vestita, indossava l'orologio e gli orecchini, aveva un dollaro accartocciato in tasca.

L'assassino

Fu subito chiaro che si trattava di un delitto passionale. Alcuni testimoni riferirono alla polizia di aver sentito un uomo e una donna litigare intorno alle 21:45. Uno di loro disse di aver sentito un urlo acuto e le parole: Non posso credere che tu lo stia facendo. Altri testimoni descrissero un furgone marrone nei pressi del luogo dove Suzanne era stata vista l'ultima volta viva. Era chiaro che la studentessa si era allontanata dal suo alloggio con l'idea di trattenersi fuori pochissimo tempo, aveva lasciato in stanza portafoglio, in tasca aveva solo un dollaro e aveva riportato al campus il furgoncino utilizzato nel pomeriggio per il volontariato. Era a piedi, dunque, qualcuno, il killer forse, le aveva dato un passaggio fino a East Rock. Sulla scena del crimine, nei cespugli di fronte al luogo dove fu ritrovato il corpo, fu ritrovata anche una bottiglia di ‘Fresca', con le impronte di Suzanne e di un'altra persona. Secondo la polizia l'assassino era una persona che Suzanne conosceva. Fu interrogato immediatamente Roman Caudillo, il ragazzo di Suzanne, ma lui aveva un alibi, era sul treno che tornava a New York quando fu uccisa.

Il professore

Prima di morire Suzanne stava scrivendo un saggio su Osama Bin Laden per il corso di ‘Strategia politica nella guerra'. Nel 1998, il terrorista saudita era già uno dei personaggi chiave dello scacchiere internazionale, ma non ancora il nemico pubblico americano che sarebbe diventato dopo l'11 settembre. Docente del corso era il professor James Van de Velde, 39 anni, ex consulente del Pentagono e del Dipartimento di Stato. Fu proprio lui a ricordare pubblicamente Suzanne all'università. Fece pubblicare sul giornale un omaggio dedicato alla sua memoria, portò fiori in aula e li depose vicino alla sua sedia, chiedendo alla classe di rimanere in silenzio. Organizzò una marcia per Suzanne. Un comportamento che i detective lessero come quello di una persona che si sentisse colpevole. Cominciò lì l'incubo personale di James Van de Velde. Il professore fu additato come ‘il mostro di Yale', finì sulle prime pagine dei giornali. Perse il lavoro e non riuscì a trovarne un altro. Solo nel 2001, l'esame del DNA scagionò Van De Velde, riconsegnandogli ormai una vita distrutta..

L'epilogo

L'inchiesta si fermò qui. La polizia non ha mai indagato sullo scambio di messaggi avvenuto la sera de delitto. Suzanne aveva scritto di aver, a sua volta, messo a disposizione di una terza persona il materiale prestato. Era il suo assassino questa persona? Dopo l'invio della mail Suzanne esce e viene uccisa. Forse un collega l'ha prelevata con un'auto e ha guidato verso East Rock, il quartiere dei professori dove, forse, abitava. Le ha comprato una bottiglia di ‘Fresca' (Suzanne non aveva con sé il portafogli). Suzanne, evidentemente non pensava di essere in pericolo, ha bevuto la soda, chiacchierato e poi è successo qualcosa. Forse c'è stato un rifiuto da parte di Suzanne, che si è girata per andarsene, scatenando la rabbia del suo assassino, anche lui, forse, ignaro di quello che avrebbe fatto. Il coltello utilizzato, secondo gli esperti, era piuttosto comune, tanto che si è spezzato nelle mani dell'assassino. Facile, per chi risiede in una delle belle case del ricco quartiere di professori e studenti, correre a casa a lavarsi e mettersi in ordine e poi tornare l'indomani, tra i banchi dell'università. La stessa dove forse l'assassino siede ancora oggi. Magari, questa volta, dalla parte della cattedra.

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