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“L’infinito” di Leopardi: ritrovato il manoscritto autografo

Riemerso dal fondo della campagna marchigiana il manoscritto autografo dell’idillio per eccellenza del poeta di Recanati: “L’infinito”. La copia, databile intorno al 1821, sarebbe la terza, dopo quella di Napoli e di Visso, a disposizione di studiosi e appassionati.
A cura di Andrea Esposito
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Quanti di voi sapevano che dell’Infinito di Leopardi ne esistono solo due copie autografe, una conservata a Napoli alla Biblioteca Nazionale, risalente al 1819, e un’altra a Visso (piccolo comune in provincia di Macerata) databile all’incirca tra il 1824 e il 1825?

Ebbene pare che da oggi le copie della poesia più letta, interpretata e tradotta dell’intera letteratura italiana siano diventate tre. Infatti da qualche giorno è circolata la notizia del ritrovamento dal fondo della campagna marchigiana di un manoscritto autografo la cui collocazione dovrebbe oscillare tra il 1821-22.

In un primo momento si era pensato a un falso, ma a un esame accurato sulla misura dei caratteri e dello specchio di scrittura è stata subito scartata l’ipotesi di un ricalco. Inoltre filigrana, inchiostro e altri dettagli del supporto cartaceo risultano corrispondenti a quelli in uso all’epoca di Leopardi e soprattutto l’esame grafico, svolto da uno dei più autorevoli esperti in materia, Marcello Andria, ci dice che la mano è quella del Poeta.

Ad affascinare gli studiosi però sono i motivi secondo cui Leopardi avrebbe redatto questa copia già soprannominata “di sicurezza”. L’ipotesi avanzata da Laura Melosi, e che sarà ampiamente ricostruita in un saggio in uscita a giugno sulla “Rassegna della Letteratura Italiana”, è che Leopardi abbia realizzato questo manoscritto “riproducendone con precisione anche i passaggi correttori per fissare l’articolarsi dell’ispirazione lirica a tutti i suoi stadi”. In effetti, prosegue la Melosi “l’utilizzo di copie di lavoro su cui estendere l’elaborazione e la riflessione intorno a ciò che sta prendendo forma è una pratica che si riscontra altre volte nella filologia dei ‘Canti'”.

Ciò che potrebbe essere avvenuto è che Leopardi in vista della partenza per Roma, dove si pensa portò con sé il quaderno con gli idilli, abbia voluto assicurarsi di lasciare una trascrizione a Recanati della sua poesia per eccellenza, emblema della sua poetica, al punto da assumere fin da subito la posizione incipitaria nella sequenza degli idilli.

Ma ad arricchire di fascino e suggestione questa vicenda sono le congetture che ricostruiscono i brevi spostamenti che questo manoscritto ha fatto nel corso dei decenni. Rinvenuto dal direttore della Biblioteca di Cingoli, Luca Pernici, nella sezione leopardiana dell’archivio dei conti Servanzi Collio di San Severino Marche, il manoscritto potrebbe essere fuoriuscito da Palazzo Leopardi come ricompensa per un ipotetico interessamento da parte di qualche personaggio locale per le sorti del nipote del poeta Luigi, che, insofferente agli studi, fu instradato verso la carriera militare. I suoi tutori, infatti, pur di raccomandarlo ad un istituto consono al suo rango potrebbero aver utilizzato il cimelio come prezioso ringraziamento.

Forse nell’Italia di oggi una copia autografa di una poesia, sebbene “L’infinito” fosse allora già ritenuto “unico”, non farebbe tanto gola al politico di turno, ma la sostanza è che nel nostro paese pur cambiando le mode e i gusti non cambiano le cattive abitudini: il nipote, o figlio che sia, testa di legno da qualche parte bisogna sempre piazzarlo!

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