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Terremoto nel Centro Italia

“Cinque ore sotto le macerie, davanti alla faccia uno spazio quanto una palla da ping-pong

Il racconto al Corriere della Sera di Mattia Rendina, dicianovenne sopravvissuto al terremoto a Pescara del Tronto, descrive ore di terrore affrontate con estrema lucidità.
A cura di Redazione
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Cinque ore sotto le macerie, avendo a disposizione davanti alla bocca "lo spazio di una pallina da ping pong". Mattia Rendina, diciannove anni, è tra i sopravvissuti che hanno vissuto l'incubo del terremoto del 24 agosto e che ha la possibilità di raccontarlo. Ha parlato – e voleva parlare – delle sue cinque ore di paura, di riflessione, di speranza. Lo ha fatto confidando al Corriere della Sera che all'inizio ha pensato si trattasse di un incubo. Giusto qualche secondo, quando si è svegliato mentre il letto veniva risucchiato giù e si è visto in cantina, lui che stava al terzo piano di quella villetta a Pescara del Tronto. Quando poi ha provato a muoversi e si è scoperto completamente bloccato ha capito che non era un sogno. Come si fa a sopravvivere precipitando dal terzo piano con le pareti che ti crollano addosso? Lo spiega Mattia: "ero stato fortunato, il tetto spiovente mi aveva fatto da capanna: una parte si era incastrata nell’altra e mi aveva protetto, se no adesso non starei qui". A tre stanze di distanza Wilma, la mamma che il disastro ha portato via.

Sopravvissuto al crollo, Mattia sapeva di dover sopravvivere alla sepoltura da vivo. Ha aspettato, ha risparmiato le energie e soprattutto l'ossigeno. La paura c'era, ma la freddezza anche ed è stata fondamentale. Solo quando ha sentito lo zio sopra le macerie ha cominciato ad urlare. Quando lo spostamento di un masso ha fatto filtrare un po' di luce in più, ha urlato ancora più forte "Zio, eccomi, sono qui!". Il corpo veniva liberato mattone dopo mattone, ma bisognava procedere con cautela:

Il lenzuolo mi imprigionava e mi avvolgeva, come pure il materasso, sulla gamba destra: ero legato. La gamba destra era piegata male dal ginocchio. Mi hanno dato un po’ d’acqua. Ero sfinito. Verso le sette e mezzo, le otto di mattina ho gridato: “Ragazzi, non ce la faccio più, lanciatemi un’imbracatura e tiratemi su, quello che viene viene, se le gambe si spezzano non me ne importa! Io non ci voglio più stare qua sotto!

Il giovane ha il collare, perché una trave gli ha rotto una vertebra cervicale e lo ha costretto con il mento sul petto. La prima notte dopo il salvataggio non ha dormito, alla seconda ha accettato un sonnifero. Le gambe stanno tutto sommato bene, anche se Mattia è uscito sulla sedia a rotelle dal Pronto soccorso dell’ospedale Mazzoni di Ascoli. Accompagnato dal papà Filippo, che della moglie ha il ricordo, ma che il figlio lo ha lì, in carne ed ossa.

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