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Opinioni

Anche messicani e brasiliani in Mps

Dopo i fondi Usa tra i nuovi “soci forti” di Mps spuntano due fondi latino-americani. Agiranno per sè o faranno da velo ad altri? Comunque vada per i soci di minoranza sarà dificile che possa andare peggio che nel recente passato.
A cura di Luca Spoldi
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Soltanto il titolo Banca popolare di Milano ha fatto meglio di Mps nel primo trimestre dell’anno in borsa: +62% il titolo dell’istituto meneghino, +55% quello della banca senese. In entrambi i casi, come per Banco Popolare (+42% nel trimestre), Ubi Banca (+39%), Intesa Sanpaolo (+38%) e Bper (+32%), tutti nella “top ten” delle migliori performance da inizio anno a Piazza Affari, il mercato pare apprezzare la profonda pulizia di bilancio che sotto la “moral suasion” di Banca d’Italia e Bce le principali banche italiane hanno attuato nel quarto trimestre del 2014 e che probabilmente proseguirà ancora nei primi sei mesi di quest’anno, in vista degli stress test della Bce. Ma nel caso dell’istituto senese non è solo la sensazione che il peggio sia ormai nei prezzi a muovere il titolo in borsa.

Da quando la Fondazione Mps ha accelerato lo smobilizzo dei  propri titoli (nell’ultimo mese) il titolo Mps ha guadagnato il 40%. Come dire che nel braccio di ferro tra Alessandro Profumo, presidente di Mps (ed ex amministratore delegato di Unicredit) che spingeva per far partire a gennaio l’aumento “monstre” da 3 miliardi di euro, e Antonella Mansi, presidente di Fonedazione Mps (e vicepresidente di Confindustria) a vincere è stata quest’ultima, che ottenendo lo slittamento a maggio dell’operazione ha ridotto al minimo i danni (la Fondazione aveva già svalutato a 24 centesimi per azione i titoli in portafoglio, valore attorno al quale sono avvenute poi le ultime cessioni sul mercato), passando da un debito verso le banche (che avevano in pegno l’intera partecipazione, già ridottasi negli anni al 31,5% del capitale) di 324 milioni a fine febbraio ad un attivo di cassa di oltre 300 milioni dopo aver incassato 685 milioni dalla vendita di una parte cospicua dei propri titoli, ma non della totalità.

Anche dopo la cessione di un ulteriore 6,5% complessivo, suddiviso tra Fintech Advisory (4,5%) e Btg Pactual Europe (2%), ad un prezzo pattuito di 0,2375 euro per azione (coi quali la Fondazione ha stretto un patto parasociale così che i tre azionisti mantengano una quota complessiva del 9% della banca dopo l’aumento di capitale), nelle casse di Palazzo Sansedoni resta circa il 5,5% del capitale di Mps, almeno per ora perché non è detto che anche l’ultimo 3% non vincolato (che ad oggi vale quasi 90 milioni di euro) non prenda al più presto la strada del mercato, rescindendo definitivamente quel “cordone ombelicale” che ha per anni legato Mps e Fondazione, finendo col condizionare negativamente tanto l’una quanto l’altra e che vanamente si era provato a mantenere attraverso il prefigurato intervento “concertato” di altre Fondazioni bancarie.

Il mercato, come detto, ha risposto positivamente allo “scampato pericolo” e alla conseguente separazione consensuale, col titolo che anche oggi sale, superando i 28 centesimi per azione, e riporta la capitalizzazione di borsa di Mps a ridosso dei 3 miliardi di euro, un valore importante perché dal valore di borsa dei titoli dipenderà il prezzo a cui saranno emessi (con uno sconto che a novembre scorso, quando l’aumento era sembrato imminente, era stato indicato attorno al 40% dalla maggior parte degli analisti ma che nel frattempo potrebbe essersi ridotto). Avere un prezzo di emissione più elevato significherebbe diluire di meno gli attuali azionisti in caso di mancata o parziale sottoscrizione dei nuovi titoli, ma anche far pagare di più ad azionisti vecchi e nuovi che desiderassero dare fiducia al “nuovo corso” della banca.

Ma chi sono i nuovi azionisti affacciatisi alla ribalta in queste settimane? Detto di BlackRock, grande fondo americano che da tempo sembra aver lanciato un “buy Italy” (è tra l’altro salito sopra il 5% anche nel capitale di Unicredit, Intesa Sanpaolo e Azimut), imitato ad altri gestori come Vanguard e Zich Off, Fintech Advisory è una società d’investimento fondata nel 1987 a New York dall’allora trentenne finanziere messicano David Martinez Guzman, che oltre ad essere specializzata in investimenti “distressed”, ossia in azioni o bond di aziende in forte difficoltà, offre servizi di investment advisory e financial consultant: in pratica è un grande gestore di private equity in grado anche, all’occorrenza, di fare da “schermo di lusso” per qualche altro investitore che non desidera comparire in prima persona (magari un gruppo come Banco Santander, che Mps conosce bene avendogli ceduto Antonveneta alcuni anni fa) o, se volete seguire una chiave di lettura geopolitica, di schierarsi a vantaggio degli interessi Usa nel momento in cui tra Stati Uniti e Russia sembra in atto una battaglia per il controllo di pezzi pregiati dell'economia italiana.

Guzman, divenuto famoso per aver messo le mani sul gruppo chimico e tessile messicano Cydsa  acquistando per 40 milioni di dollari bond per un valore nominale pari a 400 milioni poi convertiti nel 60% del capitale azionario, non è nuovo alle cronache finanziarie italiane: ha infatti rilevato nel novembre dello scorso anno il controllo di Telecom Argentina pagando a Telecom Italia 960 milioni di dollari in cambio del 68% del capitale (nel paese sudamericano Fintech è presente anche nel capitale di Cablevision); sempre Guzman nel settembre dello scorso anno aveva già dimostrato di seguire con attenzione le vicende delle banche del Sud Europa acquistando una partecipazione del 5% in Banco Sabadell attraverso un aumento di capitale dedicato da 1,4 miliardi di euro.

Btg Pactual è invece un gruppo finanziario brasiliano fondato nel 1983 a Rio de Janeiro e poi passato sotto il controllo di Ubs nel 2006. In quell’occasione il banchiere André Esteves (tredicesimo più ricco uomo d’affari brasiliano con un patrimonio personale attorno ai 3 miliardi di dollari), già presidente e tra i tredici fondatori dell’azienda, venne nominato Ceo della neo costituita Ubs Pactual, solo per lasciarla un paio d’anni dopo portando con sé un nutrito gruppo di partner di Ubs Pactual e banchieri di Ubs come Persio Arida, dare con loro vita a Banking and Trading Group (Btg) e riacquisire Ubs Pactual dal gruppo elvetico nel settembre del 2009, dando così vita all’attuale Btg Pactual.

Tanto per non starsene con le mani in mano Esteves e soci nel 2011 hanno rilevato una quota del 37,64% (e il 51% dei diritti di voto) di Banco PanAmericano mentre l’anno successivo hanno rilevato il principale broker del Cile, Celfin, per poi quotarsi sul listino della Bovespa. Anche di Esteves si era già sentito parlare in Italia: nell’aprile 2012, la Consob aveva multato il banchiere per un caso di insider trading su azioni Cremonini. Per il Montepaschi, abituato a confrontarsi con interlocutori politici e imprenditori “amici”, ritrovarsi tra gli azionisti di controllo banchieri d’affari e gestori di grandi fondi d’investimento è come addormentarsi in pieno Rinascimento e risvegliarsi nella Wall Street di Gordon Gekko il mattino successivo, col rischio (o forse la speranza) che un domani questi investitori passino la mano a loro volta.

Visto tuttavia i danni commessi in un passato recente sarà difficile che agli azionisti di minoranza possa andare peggio, tanto più se in futuro dovesse essere lanciata un’Opa sulla banca (in fondo per rilevare una quota di controllo attorno al 30% basterebbe poco più di paio di miliardi post aumento). Che alla città di Siena, e più in generale all’Italia, possa andare meglio è invece molto meno scontato. Verrebbe da dire: benvenuti nel XXI secolo, ora il governo di Matteo Renzi (a cui qualche commentatore suggerisce sia vicina la stessa Antonella Mansi) crei le condizioni perché l’economia torni a girare e investire nel Bel Paese torni ad essere conveniente anche per banche o aziende che di italiano hanno ormai solo più il marchio. In caso contrario rischiamo di leggere dei successi all’estero di gruppi un tempo italiani, senza alcun beneficio per gli italiani stessi.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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