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Una terapista spiega cosa dovremmo dire ai bimbi piccoli quando ci “picchiano”

Molti genitori si trovano spiazzati quando il proprio bambino li colpisce. Un gesto che, nei primi anni di vita, è normale ma va guidato. Una terapista occupazionale ha spiegato sui social perché dire “non picchiare” non funziona e suggerisce frasi semplici e positive per insegnare ai piccoli a gestire emozioni e frustrazioni senza aggressività.
A cura di Niccolò De Rosa
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Capita a molti genitori di trovarsi, spesso all’improvviso, davanti al proprio bambino che li colpisce con uno schiaffo o persino con pugnetto. Un gesto che spiazza, ma che non viene fatto per cattiveria, ma per frustrazione, rabbia, o semplicemente perché ancora non sa come esprimere quello che prova. Capire il motivo di questi comportamenti è il primo passo per affrontarli nel modo giusto, evitando risposte impulsive o frasi che, anziché aiutare, rischiano di peggiorare la situazione.  A spiegare come fare è stata una, terapista occupazionale pediatrica, Shannon Bouchard, che in un recente video postato sui social ha condiviso alcuni consigli utili e facilmente applicabili.

Perché i bambini piccoli a volte sono maneschi

Tra i 12 mesi e i 3 anni, i bambini iniziano a esplorare il mondo delle emozioni ma non hanno ancora sviluppato gli strumenti per gestirle. È normale, quindi, che davanti a una frustrazione reagiscano in modo fisico: lanciare un gioco, colpire un genitore o spingere un coetaneo può essere il loro modo – maldestro – per dire che qualcosa non gli piace o lo sta mettendo a disagio. Secondo Bouchard, il cui contenuto è stato ripreso da diversi media inglesi, questi comportamenti non vanno ignorati, ma nemmeno puniti in modo rigido. È compito degli adulti guidare il bambino, insegnandogli modalità alternative e più appropriate per esprimere ciò che prova.

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Cosa non dire: l’importanza del linguaggio

Quando un bambino colpisce, la reazione più comune dei genitori è quella di pronunciare frasi come "Non fare così!" o Smettila, non  mi devi picchiare". Secondo l’esperta, però questo approccio può rivelarsi controproducente. "Sotto i due anni – ha spiegato – i bambini non elaborano l’intera frase. Capiscono solo le ultime parole". Questo significa che, sentendo "non picchiare", il bambino potrebbe cogliere solo "picchiare" e non recepire il divieto. Per questo è più efficace usare frasi brevi, semplici e in positivo. Ad esempio: "Le mani servono per accarezzare". Così, il bambino riceve un’alternativa concreta e comprensibile.

Nel video diventato virale, Bouchard ha risposto al filmato che mostrava una mamma che cercava di calmare il proprio bimbo dicendogli di "essere dolce". Per la terapista, però, quella frase rimne troppo vaga: i bambini piccoli hanno bisogno di indicazioni precise. "Essere dolci" può significare tante cose, ma dire "Dai un abbraccio" o "Tocca piano" rende il messaggio molto più chiaro. L’esperta ha pertanto suggerito di offrire sempre un comportamento alternativo accettabile, con comandi semplici e visivi (come "Mani solo per abbracci") che risultano più facili da comprendere per un bambino in preda all’agitazione.

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Quando l’alternativa non basta

Può succedere che, nonostante le parole giuste, il bambino continui a colpire. In questi casi, secondo Bouchard, è fondamentale allontanarsi. Non come punizione, ma per comunicare chiaramente che quel comportamento non è accettabile. "Più a lungo resti lì e lasci che ti colpisca, più gli stai insegnando che è una cosa tollerata", ha chiarito in una dichiarazione riportata dal quotidiano britannico The Mirror. La chiave insomma sta nel capire il linguaggio dei più piccoli e sintonizzarsi sul loro modo di pensare, fatto di azioni concrete più che di divieti astratti.

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