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Sempre perfette, sempre in ansia: la trappola emotiva delle figlie maggiori spiegata dalle esperte

Essere figlie maggiori significa spesso crescere troppo in fretta, assumendo ruoli da adulte già da bambine. L’eccesso di responsabilità di cui vengono investite già durante l’infanzia, spesso è infatti il principale ostacolo alla felicità di molte primogenite. Per gli esperti, riconoscerlo è il primo passo per imparare a vivere con più leggerezza.
A cura di Niccolò De Rosa
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Crescere come primogenita, in particolare come figlia maggiore, significa spesso assumere responsabilità ben oltre la propria età. Quella che può sembrare una predisposizione al perfezionismo, alla cura degli altri e al senso del dovere è in realtà il frutto di un meccanismo più profondo e radicato. Due esperte di salute mentale intervistate dall’HuffPost, spiegano quella che spesso viene definita "la sindrome della figlia maggiore" possa influire negativamente sul benessere emotivo di molte donne. Il problema principale? Un’eccessiva assunzione di responsabilità.

La "sindrome della figlia maggiore" non è solo uno stereotipo

Battute e meme circolano da tempo sul ruolo delle figlie maggiori, dipinte spesso come piccole adulte troppo serie, organizzatrici infaticabili, incapaci di delegare e perennemente sotto pressione. Ma dietro a questi luoghi comuni si nasconde una realtà psicologica concreta. Le figlie primogenite tendono a maturare prima, anche a causa dello stress vissuto dalle madri durante la gravidanza, come indicano alcune ricerche recenti.

Secondo Natalie Moore, terapeuta familiare in California, "è comune che le figlie maggiori si sentano eccessivamente responsabili della famiglia di origine", arrivando a prendersi cura non solo dei fratelli più piccoli ma anche dei genitori. A questo carico si aggiunge spesso la gestione del carico mentale: quei compiti invisibili, come ricordare i compleanni, organizzare le cene di famiglia o assicurarsi che tutto funzioni, che spesso ricadono su di loro in modo automatico.

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Quando il ruolo diventa un’identità rigida

Questo senso di responsabilità non si ferma alla famiglia d’origine. Si estende al lavoro, alle amicizie, alle nuove famiglie che si creano da adulte. Le figlie maggiori diventano spesso le "problem solver" ovunque vadano, quelle su cui tutti contano, ma che raramente possono contare su qualcun altro. "Sentono di dover essere sempre all’altezza, sempre impeccabili", ha spiegato Danica Harris, terapeuta somatica e mental coach in Texas.

Il rischio è che si identifichino totalmente con questo ruolo, fino a non riuscire più a distinguere i propri desideri autentici dalle aspettative degli altri. In molte famiglie, soprattutto quelle numerose, la figlia maggiore infatti tende ad assumere inconsciamente un ruolo genitoriale. Harris sottolinea come, in contesti eterosessuali tradizionali, dove i padri spesso ancora oggi sono meno coinvolti nella cura quotidiana, siano spesso la madre e la figlia maggiore a reggere le redini la famiglia. "È come se formassero un'alleanza, le due che mandano avanti tutto", ha affermato la terapeuta.

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La trappola del perfezionismo

Uno degli effetti più dannosi di questo schema è l’instaurarsi di un perfezionismo rigido, spesso accompagnato da una voce interiore che alimenta atteggiamenti autocritici e autopunitivi. "Le figlie maggiori crescono sentendosi dire ‘tu sei quella di cui non dobbiamo preoccuparci’, e questo le porta a credere di non poter sbagliare, mai", spiega Harris. Il risultato è una costante paura di fallire, nonché una perenne fatica emotiva che può sfociare in ansia o depressione. E come se non bastasse, la società sembra ulteriormente rafforzare tutte queste pressioni, poiché le aspettative culturali nei confronti delle donne – portate a essere empatiche, attente e responsabili – finiscono per sommarsi al ruolo familiare già esigente.

I segnali del sovraccarico emotivo

Il bisogno di "tenere tutto sotto controllo" può diventare totalizzante. Le figlie maggiori sono spesso le leader nei gruppi di amici, quelle a cui tutti si rivolgono nei momenti difficili, ma che raramente ricevono lo stesso tipo di supporto. E quando si rendono conto di non riuscire a gestire tutto, possono provare un senso di fallimento, frustrazione e colpa. Come spiega Moore, "chi assume più responsabilità di quante ne possa realisticamente sostenere finirà per sentirsi sopraffatto, con conseguenze serie sulla salute mentale e fisica". Riconoscere questi schemi è il primo passo per uscirne.

Imparare a disinnescare il ruolo

Cambiare questo copione, però, è possibile. Tutto comincia dalla consapevolezza. Secondo Moore, è fondamentale interrogarsi su cosa piace e cosa no di quel ruolo che si è assunto così presto: "Ci sono parti che magari sono gratificanti, come organizzare la cena di compleanno della mamma, ma altre che generano stress e devono essere ridimensionate, come accollarsi tutte le spese o le incombenze da sole". Stabilire dei confini e ridefinire i propri compiti in base ai valori attuali è un processo che può ridare respiro e benessere. Non si tratta di smettere di essere affidabili, ma di esserlo in modo più sostenibile.

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Un altro passaggio chiave è quello del lavoro sul proprio "bambino interiore". Harris invita spesso le sue pazienti a riscoprire cosa avrebbero voluto fare da piccole, ma che non hanno potuto a causa delle responsabilità premature. Può trattarsi di qualcosa di semplice, come andare in piscina con le amiche anziché fare da babysitter ai fratelli. Rivivere quelle esperienze negate può avere un effetto profondamente curativo.

Anche la gentilezza verso sé stesse ha infine un ruolo essenziale. Può voler dire togliersi un impegno per riposare, scrivere i propri pensieri in un diario, o semplicemente concedersi il permesso di sbagliare senza giudizio. "Quando impariamo a essere più morbide con noi stesse – ha concluso Harris – cambia tutto. La giornata è la stessa, ma a fine giornata siamo meno stanche, meno infelici, meno svuotate". Certo, rinunciare alla perfezione, accogliere la propria umanità e ridurre il senso di responsabilità costante non sarò affatto facile per chi ha passato una vita intera a sentirsi quella che deve farcela. Ma riconoscere il peso che da tempo si porta sulle spalle è il primo passo per affrancarsi dalle catene invisibili forgiate fin dall'infanzia e iniziare a scegliere, finalmente, anche ciò che fa bene a sé stesse.

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