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“Quando è nato mio figlio, non ho provato niente”: la depressione post-partum raccontata da una mamma

Valentina aveva sempre pensato che sarebbe stata un’ottima madre, fino a che non è rimasta incinta e un’ansia crescente l’ha accompagnata durante la gravidanza, culminando con una strana sensazione in sala parto, quando per quel bimbo ha sentito di non provare nulla. Oggi Valentina sta bene e lo deve alla diagnosi di depressione post-partum, alla terapia e alla medicina.
A cura di Sophia Crotti
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depressione post-partum

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Valentina (nome di fantasia) è una donna che per tutta la vita si è sentita dire che da grande sarebbe stata un'ottima madre. Essere stata la prima di una sfilza di cugini e la sorella maggiore di una bimba di 8 anni più piccola le è bastato per godere dei complimenti di amici e parenti che le dicevano che lei con i bimbi ci sapeva proprio fare. Fino a che non è rimasta incinta del suo bambino.

Una gravidanza inaspettata è piombata nella sua vita, disintegrandola fin dal primo giorno, quello in cui uno psichiatra le ha detto che i farmaci che prendeva non erano compatibili con la gestazione. Cresciuta con l'esempio di una madre per la quale la gravidanza era stata la gioia più grande, o che forse non aveva avuto il coraggio di dirle che dietro ai luoghi comuni c'era una faccia della medaglia fatta di tristezza e dolore, Valentina si è sentita morire dentro quando in sala parto le è parso di essere la spettatrice della nascita del figlio di un'altra donna: "Ho visto il mio compagno prendere nostro figlio in braccio e commuoversi, mentre io non sentivo nulla, ero impassibile e da quel momento in avanti, io che ero sempre stata emotiva, non ho più tirato giù neanche una lacrima".

Valentina, che oggi sta bene e si sta cimentando nel ruolo più complesso di sempre, quello del genitore, ha raccontato a Fanpage.it la sua esperienza con la depressione post-partum, dando un'immagine della gravidanza, ben diversa dal roseo racconto che spesso ne viene fatto ed elencando quei fattori che contribuiscono a far sentire le mamme sbagliate. "Io spero che leggendo queste parole anche una sola donna si senta capita, più di me, che mi sono sentita pazza perché non avevo ancora capito che un figlio ti mette alla prova, facendo uscire lati di te, che non ti aspettavi". 

Partiamo dal principio, come è stato scoprire di essere incinta?

Scoprire di essere incinta è stato ben diverso da come me lo ero immaginato per tutta la vita. Ho scoperto di aspettare mio figlio quando, dopo un ritardo, ho fatto un test di gravidanza che volevo mi confermasse il contrario. Seppur io e il mio compagno avessimo sempre pensato di volere dei figli, non stavamo cercando un bambino in quel momento, dunque quando ho visto il risultato, sono stata investita da un'ansia fortissima. Col passare dei giorni ho cercato di razionalizzare, ma non sono mai riuscita a gioire della notizia, l'unico mio pensiero ricorrente era “Ecco, io non sarò mai in grado di fare la mamma”.

Ci descrivi la tua ansia dopo il test?

La cosa strana è che io per tutta la vita mi ero immaginata madre, ma all’improvviso quando un test mi ha confermato che lo sarei diventata, in questo ruolo non mi ci rivedevo più, temevo di sbagliare. A causarmi tutta quell'ansia era anche il fatto che in quel momento ero in terapia e stavo affrontando con il mio terapeuta il rapporto tra me e mia madre, avevo paura dunque di commettere con mio figlio gli stessi errori che lei aveva fatto con me. Poi ho iniziato a soffrire la distanza dalla mia famiglia di origine, io che avevo passato la mia giovinezza via da casa e che mi trovavo in Perù da ormai 4 anni, sentivo i km pesare enormemente.

depressione post-partum

Ho iniziato ad avere un disturbo di panico fortissimo, che già in passato avevo avuto, ma che grazie all’intervento di uno psichiatra e a dei farmaci che prendevo quotidianamente ero riuscita a superare. Uno psichiatra locale mi ha detto che questa pastiglia era però incompatibile con la gravidanza e mi sono fidata. Ho iniziato a stare sempre peggio, non dormivo la notte, non riuscivo a mangiare e a questo si sommava il terrore e il senso di colpa di poter fare del male anche a mio figlio, che era nella mia pancia. Mi sono quindi rivolta al mio vecchio psichiatra italiano che ha iniziato a prescrivermi diverse cure compatibili con la gravidanza, facendomi anche parlare con un ente del Ministero della Salute che mi confermava se potevo o non potevo prendere certi farmaci. Ma questi trattamenti continuavano a cambiare perché io non smettevo di stare male e quindi non funzionavano. Io sono arrivata al parto in uno stato d’ansia estremo che non mi ha permesso di sentirmi pronta, come invece avrei voluto, all’arrivo del mio bambino. Pensavo solo "Dai almeno una volta nato passerà tutto", perché così mi avevano insegnato.

Hai seguito un corso pre-parto?

Sì, ho deciso alla fine, visto il mio stato d'ansia, di partorire in Italia, e ho seguito un corso online, che per me è stato inutile. Le uniche nozioni che mi hanno dato erano di carattere tecnico, legate al parto e all'allattamento, non si è parlato di come cambiare un pannolino o come capire perché il bimbo piange, come fossero cose che avrei dovuto sapere da sola. Inoltre è stato completamente tralasciato ogni aspetto emotivo della gravidanza.

E tu ti sei sentita di condividere il tuo stato di salute mentale durante il corso?

Sì, ho tirato fuori il discorso della mia situazione psicologica, davanti a tutte sconosciute, sperando che fosse l’occasione per parlare di salute mentale in gravidanza, ma  l’ostetrica si è solamente limitata ad ascoltare. Questo ha accentuato il mio malessere, facendomi sentire ancora più sola perché vedevo tutte le mamme felicissime della loro situazione, mentre io dentro mi sentivo morire. 

Poi c’è stato il parto, ce lo racconti?

È stato un parto difficile, non per il bambino ma per me, ho avuto un'emorragia, perché non mi si ricontraeva l’utero, e mi hanno fatto una serie di manipolazioni dolorose. La ginecologa dell’ospedale poi mi ha detto una frase davvero inopportuna, ho chiesto l’epidurale, sin da quando ero nella zona pre-parto ma tutti mi dicevano che gli anestesisti erano occupati e che me l’avrebbero potuta fare solo un volta entrata in sala parto.

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Io sono andata avanti per ore a sentire un dolore lancinante, e una volta entrata in sala parto, dopo 8 ore di dolore intensissimo mi sono sentita dire: “Smettila di là ci sono dei cesarei complicati, preferisci che muoiano delle donne per fare un’anestesia a te che nemmeno ne hai bisogno”. Mi sono sentita mortificata, quando penso sia lecito, se si prova malessere e dolore, chiedere di stare meglio. Per fortuna c’era una tirocinante molto giovane che invece ha cercato di aiutarmi per tutto il tempo. Partorire è devastante e va detto, non per terrorizzare le partorienti ma per rivendicare il fatto che non è naturale soffrire così tanto.

E quando hai visto per la prima volta tuo figlio, cosa hai provato?

Dapprima una forte paura. Mi sono spaventata perché non l’ho sentito piangere, e ho scoperto solo in quel momento che i bimbi non devono tutti per forza piangere alla nascita, cosa che al corso pre-parto non mi avevano detto. Poi hanno dato il bimbo in braccio al mio compagno, perché io stavo male, e lui si è commosso. Io mi sentivo come se stessi osservando la scena dall’esterno, ero impassibile. Non ho mai provato alcuna emozione, non ho nemmeno pianto e io sono una che si commuove per tutto. Anzi, a dire il vero da quando è nato mio figlio io non ho proprio più pianto e questo ha contribuito a farmi sentire sbagliata.

Dopo la nascita come è andata la degenza in ospedale?

Dopo la nascita mio figlio non è stato subito lasciato con me perché dal momento che io in gravidanza avevo assunto dei farmaci, doveva essere tenuto in osservazione. Quindi io salivo in neonatologia quando me la sentivo e stavo lì il tempo che desideravo, la mia vicina di stanza invece, ancora sofferente per il cesareo, doveva da sola gestire i suoi due gemelli. Quando ad un certo punto ha chiesto aiuto all’infermiera della nursery lei le ha prontamente risposto che quelli erano figli suoi, e doveva imparare ad occuparsene. Questa cosa è stata devastante, ci ha fatto sentire sbagliate e senza aiuti. Quando poi una notte hanno lasciato mio figlio in camera con me, dopo una nottata devastante alle 5 ho firmato le dimissioni, non mi sembrava affatto l'ambiente adatto per i primi giorni di vita di un bambino e neanche per me.

E i primi giorni a casa?

I primi giorni sono stati un banco prova. Io ho allattato al seno per la prima settimana, perché mi sentivo in colpa a non farlo, ritardando così a riprendere con i farmaci. La prima notte a casa mio figlio è rimasto attaccato 6 ore al seno, l’indomani l’ho detto al mio compagno e abbiamo deciso insieme di chiamare il pediatra per valutare l'allattamento artificiale. Alla fine abbiamo deciso di collaborare lavorando su turni, io mi prendevo cura del bimbo di giorno e riposavo di notte e il mio compagno si occupava di nostro figlio durante la notte, riposando di giorno. Questo ha influito anche sulla nostra relazione perché ha voluto dire, per molto tempo, essere fisicamente insieme ma faticare a ritagliarsi dei momenti per noi.

Tu quindi hai vissuto la depressione post-partum?

Sì, la mia depressione post-partum si è sommata ad un altro disturbo del ramo del bipolarismo, la ciclotimia, di cui soffro da tutta la vita, ma la cui diagnosi è arrivata proprio durante la gravidanza. È come se con la gravidanza, quei momenti di down che vivevo da tutta la vita, si fossero aggravati enormemente. Ricordo gli occhi del mio compagno quando andavo sul balcone a fumare, che mi ha supportata in una maniera inimmaginabile, ma che non capiva fino in fondo che io, a causa della terapia sfiancante e del mio stato di salute mentale, volevo solo dormire, mangiare e fumare. Quando stavo con mio figlio lo facevo perché mi sentivo obbligata a farlo. 

Ne avevi sentito parlare prima? 

Sì, fin da piccola. La prima ad usare con me quel termine era stata proprio mia madre, che io avevo visto piangere a dirotto poco dopo la nascita di mia sorella, e che vedendomi stupita mi aveva detto si trattasse proprio di quella depressione che veniva ad alcune mamme dopo il parto, ma che il giorno seguente sarebbe passata. Io sono cresciuta con l’illusione che al massimo questi sentimenti potevano durare 24 ore.

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La mia sfortuna durante la gravidanza, però, è stata non avere nessuno che avesse vissuto questa forma di depressione con cui confrontarmi a riguardo, qualcuno che per esempio mi dicesse che era normale stare come stavo. Le mie amiche sono state molto empatiche con me, è grazie a loro se sono salva, ma non avevano vissuto esattamente quello che avevo vissuto io. Ho anche scritto su un gruppo Facebook come mi sentivo e ho ricevuto i commenti da altre donne che non avevano vissuto la mia stessa cosa ma che dicevano di capirmi, ma ancora una volta è stata una condivisione “di nicchia”, quando invece di depressione post-partum bisognerebbe parlarne eccome, anche per decidere consapevolmente poi di avere un figlio.

Ti sei mai sentita una mamma sbagliata?

Da quando ho partorito al compimento dei due anni del mio bimbo mi sono sentita tutti i giorni una mamma sbagliata. Poi le cose sono andate meglio, grazie alle medicine e alla terapia ho preso consapevolezza del fatto che genitori si diventa, anche se avevi pensato per tutta la vita che saresti stata una bravissima mamma. Ci sono tante questioni che devo ancora processare ma oggi, come ho detto alla mia terapista, ho la forza dell’intenzione di essere una buona madre: che non significa che ci riuscirò, chissà quanti errori mi attendono ancora, ma che ce la metterò tutta.

Quindi si guarisce dalla depressione post-partum?

Sì, anche se nessuna situazione deve essere presa come esempio, ma deve essere lo sprono per capire che ognuno vive la genitorialità a modo suo, non esiste una narrazione univoca, ogni corpo, ogni mente, reagisce in maniera diversa. La mia depressione post-partum è stata come un momento di vuoto totale, in cui non sapevo più chi fossi, quale fosse il mio ruolo nella società e  a cosa avrei dovuto dare priorità.

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Non riuscivo a vedere la realtà dei fatti, sentivo solo, a causa della narrazione della maternità che mi era sempre stata fatta, che avrei dovuto sacrificarmi per il mio bambino ma non ci riuscivo, che lui a causa mia avrebbe solo sofferto, quando i bambini non li crescono solo i genitori ma intere comunità.

Sì sono guarita, facendo l'unica cosa indispensabile alla guarigione: trovare il coraggio di chiedere aiuto. E laddove le parole di amici e terapisti non sono bastate sono arrivati gli psicofarmaci, che mi hanno salvato la vita e permettono a mio figlio di avere una mamma serena, consapevole e in cammino.

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