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Psicologa rivela le 7 domande che ogni genitore dovrebbe rivolgere ai figli dopo la scuola

Una psicoterapeuta americana ha spiegato come alcune domande mirate possano stimolare la crescita e il desiderio di apprendimento dei bambini: “Non limitiamoci a chiedere ‘com’è andata?'”
A cura di Niccolò De Rosa
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Il dialogo tra genitori e figli è una delle chiavi più importanti per la crescita emotiva e relazionale dei bambini. Una semplice domanda, posta nel momento giusto e con il tono giusto, può aprire mondi inattesi: stimolare la curiosità, accendere la fiducia, allenare l’empatia. Eppure, spesso, il tradizionale "Com’è andata a scuola?" si rivela un vicolo cieco, capace di generare solo monosillabi o il classico "niente" che chiude la questione.

Amy Morin, psicoterapeuta, assistente sociale clinica e docente alla Northeastern University, da anni aiuta i genitori a costruire conversazioni più autentiche con i propri figli e in un articolo recentemente comparso sul sito dell'americana CNBC ha invitato mamme a papa a superare le solite domande di rito per fare spazio a quelle che stimolano la riflessione, la consapevolezza e la crescita interiore. "Quando i bambini imparano a raccontare le proprie esperienze allenano abilità fondamentali come la consapevolezza emotiva, la capacità di risolvere problemi e l’empatia", ha spiegato.

Secondo la terapeuta, ci sono in particolare sette domande che possono trasformare il momento del dialogo quotidiano in un’occasione preziosa di crescita condivisa.

  • "Qual è stata la parte più bella della tua giornata?": questa domanda aiuta i bambini a concentrarsi sugli aspetti positivi, anche nelle giornate più difficili. Non è un modo per negare ciò che non va, ma per allenare lo sguardo alla gratitudine e all’ottimismo, due fattori protettivi per la salute mentale. Morin suggerisce di condividere prima un proprio esempio: "La parte più bella della mia giornata è stata la passeggiata nella pausa pranzo. E la tua?". In questo modo, il bambino si sentirà coinvolto in uno scambio reale, non interrogato come a un esame. Anche un dettaglio semplice ("Ho giocato a calcio durante la ricreazione") diventa l’inizio di una conversazione autentica.
  • "Qual è stato un errore da cui hai imparato oggi?": parlare degli errori non significa giudicare, ma normalizzarli. Chiedere ai bambini di riflettere su cosa non è andato come previsto li aiuta a vedere il fallimento come parte del percorso, non come una macchia da nascondere. "Gli errori sono occasioni per crescere", sottolinea Morin. L'importante è usare un tono di curiosità e non di critica: "C'è qualcosa che oggi faresti diversamente?". La risposta potrebbe essere semplice ("Ho dimenticato il libro della biblioteca, quindi lo metterò nello zaino stasera") ma dietro c’è un esercizio di consapevolezza e responsabilità personale.
  • "Di chi o cosa sei stato orgoglioso oggi?": on sempre si tratta di essere orgogliosi di sé: questa domanda apre lo sguardo sugli altri e alimenta l’empatia. Chiedere ai bambini chi li ha colpiti positivamente o chi ha fatto qualcosa di ammirevole li spinge a osservare con attenzione e a riconoscere i gesti di valore intorno a loro. Per rendere la domanda più concreta, si può chiedere se, per esempio, abbiano visto qualcuno impegnarsi a fondo per raggiungere un obiettivo. Il bambino potrebbe raccontare di un compagno che ha aiutato un amico, o magari riconoscere un proprio gesto gentile. In entrambi i casi, il dialogo si trasforma in un'occasione per "allenare" l'empatia.
  • "Cosa avrebbe reso questa giornata ancora migliore?": riconoscere le mancanze o le frustrazioni è un passo importante insegnare ai figli ad essere resilienti. Questa domanda aiuta i bambini a individuare ciò che li ha infastiditi, ma in un’ottica costruttiva. Invece di soffermarsi su ciò che è andato storto, li incoraggia a pensare a come migliorare. Si può formulare in modo giocoso: “Se avessi una bacchetta magica, cosa cambieresti di oggi?”. Il bambino potrà rispondere con leggerezza, ma anche con profondità: “Vorrei avere più tempo per finire il mio disegno, magari lo porto a casa e lo completo domani”. In questo modo, la fantasia si intreccia con la capacità di pianificare e reagire alle difficoltà.
  • "Chi hai aiutato oggi?": domande come questa insegnano il valore della gentilezza e del contributo. Quando un genitore la propone con regolarità, il bambino inizia a notare le occasioni in cui può rendersi utile. Essere d’aiuto diventa una parte naturale del suo comportamento quotidiano. Anche un piccolo gesto ("Ho aiutato la mia compagna a fare i compiti") può consolidare l'idea che ognuno può fare la differenza. Come spiega Morin, i bambini imparano che l'altruismo non è un dovere, ma un modo di stare bene con se stessi e con gli altri.
  • "Qual è la cosa più interessante che hai imparato oggi?": spesso i genitori chiedono solo dei voti o dei compiti, dimenticando che la scuola è soprattutto un luogo di scoperta. Questa domanda sposta l’attenzione dal rendimento alla curiosità, alimentando il piacere di imparare per il gusto di conoscere. Il bambino potrebbe rispondere con un fatto sorprendente o con qualcosa legato alle lezioni. L’importante è che percepisca l’interesse sincero del genitore, magari con domande di approfondimento ("Davvero? Come l’hai scoperto?").
  • "C’è qualcosa di nuovo che vorresti provare?": per Morin è importante porre ogni tanto anche una domanda che guarda al futuro. Questo spinge i bambini a uscire dalla loro zona di comfort, a sperimentare senza la paura di sbagliare. L'obiettivo non deve essere la performance, ma il coraggio di mettersi in gioco per esplorare nuove passioni e nuove competenze. Per i bimbi più timidi, l'esperta suggerisce ad esempio proporre anche piccole sfide come entrare in una squadra o tentare un'attività con altri coetanei che non conosce.
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