Perché non dovremmo più chiedere ai bambini: “Cosa vuoi fare da grande?”

È una delle prime domande che gli adulti pongono ai bambini, già dalla scuola dell’infanzia: "Cosa vuoi fare da grande?". Una frase apparentemente innocua, spesso detta per saggiare la fantasia dei piccoli o provare a vincerne la timidezza e avviare una conversazione. Questo quesito – soprattutto se viene posto con una certa frequenza – può però nascondere una piccola insidia che è bene non sottovalutare, tanto che sempre più educatori e psicologi stanno suggerendo di abbandonarla. Il rischio, affermano gli esperti, è che i bimbi finiscano per ridurre la loro identità all'idea di una professione futura, un fenomeno che potrebbe limitare le loro scelte e portarli a ragionare solo in termini di successo e carriera, escludendo tanti altri aspetti importanti della loro crescitatanti altri aspetti importanti della loro crescita.
Una domanda più profonda di quanto appaia
A sollevare la questione di recente è stata una serie social americana, Subway Takes, dove nella cornice offerta da un vagone della metropolitana, un gruppo di ospiti ha cominciato a discutere sul fatto che gli adulti dovrebbero smettere di chiedere ai bambini cosa vorrebbero fare da grandi. L’imprenditrice e futurologa Sinead Bovell, ospite del talk, ha infatti osservato che "i bambini non pensano in termini di lavoro, siamo ma siamo noi a portarli lì". Il che è strano, ha proseguito Bovell, perché a nessuno piace chi entra in una stanza e comincia a interrogare i presenti su ciò che fanno nella vita. Un'opinione che il conduttore – il comico Kareem Rahma– ha rilanciato con entusiasmo: "Sono completamente d'accordo. Forse non dovremmo chiedere a nessuno cosa vuole fare da grande prima dei 40 anni".

Anche Ariel Kornblum, psicologa del Manhattan Psychology Group, intervistata dal sito TODAY.com, ha confermato come dietro questa domanda si nasconda un messaggio implicito: l’identità e il valore di una persona dipendono da ciò che farà, da quanto sarà produttiva. Un’idea che può mettere pressione anche su un adulto, figuriamoci su un bambino che ancora esplora il mondo. "I rischio è spingere i bambini a identificarsi troppo presto con un mestiere, trasmettendo l’idea che il loro valore dipenda da quello", ha sottolineato Kornblum.
Ci sono altri modi per conoscere i bambini
Allora cosa chiedere al posto della classica domanda? Gli esperti propongono alternative che stimolano l’immaginazione, la curiosità e la riflessione su valori e desideri. Domande come "Cosa ti piace di più?" o "Come vorresti essere da grande?" sono esempi di come stimolare i piccoli a proiettarsi in un futuro indeterminato senza dover fornire risposte definitive, aprendosi così all'ascolto e alla scoperta.
Anche il gioco può diventare uno strumento prezioso. Kornblum ha ad esempio suggerito di provare attività come il classico "Preferiresti…?", in cui si chiede ai bambini di scegliere tra una serie di alternative immaginarie. Un modo divertente per esplorare insieme sogni e possibilità, valorizzando non tanto a ciò che il bambino farà, ma a chi è ora, alle sue emozioni, ai suoi pensieri e a come cambia nel tempo. L’obiettivo non è rinunciare a parlare del futuro, ma cambiare prospettiva: non chiedere ai bambini cosa vorranno fare, ma chi vorranno essere. Una distinzione sottile, ma fondamentale, per crescere persone consapevoli, libere di esplorare, cambiare idea e costruire la propria identità passo dopo passo.