Perché gli adolescenti vogliono sempre essere localizzati e quali sono i rischi: la parola alle esperte

Una nuova tendenza si sta affermando tra gli adolescenti: condividere in tempo reale la propria posizione con gli amici attraverso app le funzioni di localizzazione del proprio smartphone. Una pratica che, agli occhi degli adulti, può apparire inquietante, ma che per la Generazione Z è ormai una forma naturale di socialità. Se da un lato gli adolescenti rivendicano la loro autonomia dai genitori, dall’altro sembrano disposti a rinunciare a una parte della propria privacy… ma solo con i coetanei.
La nuova normalità: condividere dove si è
Non è un fenomeno del tutto nuovo: già nei primi anni 2000 i social offrivano strumenti per raccontare in tempo reale cosa si stava facendo o dove ci si trovava. Oggi però le nuove generazioni sono non si fanno grandi problemi a far sapere a tutti i luoghi che frequentano e la geolocalizzazione non si limita a un post: è costante, in tempo reale, e accessibile a una cerchia ristretta, ma sempre presente.
Per i ragazzi, condividere la posizione è infatti un modo per sentirsi parte di un gruppo, per comunicare fiducia, ma anche per puro divertimento. Lo ha recentemente confermato all'HuffPost la psicologa Cameron Caswell, la quale ha spiegato come per i Gen Z sia perfettamente normale condividere sui social la propria posizione. "È un altro modo per rimanere connessi alle vite degli amici". Alcuni arrivano perfino a monitorare i movimenti dei genitori: Caswell ha ad esempio racconta che la figlia a volte quando vede che è nei pressi di un negozio di cosmetici per chiederle un nuovo lucidalabbra.
Condivisione o sorveglianza?
Ma se per molti adolescenti la geolocalizzazione è simbolo di connessione e sicurezza, non mancano i lati oscuri. La terapeuta Cheryl Groskopf, esperta in ansia e trauma, ha sottolineato come alcuni ragazzi utilizzino queste app per tenere sotto controllo i movimenti degli altri – soprattutto fidanzati e fidanzate, ma non solo – alimentando insicurezze e dipendenze emotive.
"C’è conforto nel sapere dove si trovano le persone care, soprattutto in un mondo dove ci si sente spesso esclusi. Ma quel conforto è fragile: richiede accesso costante, e questo può rendere i ragazzi ipervigili", ha spiegato all‘HuffPost. In alcuni casi, può trasformarsi in un meccanismo di controllo: controllare dove si trova un amico per verificare se ha mentito, o perché non ha risposto a un messaggio, può generare ansia e malessere.
Il rischio di sentirsi esclusi
La condivisione della posizione può anche acuire il senso di esclusione e aumentare l'ormai celebre FOMO (Fear of Missing Out), la paura di perdersi qualcosa. Gli esperti segnalano che vedere in tempo reale gli amici riuniti a una festa a cui non si è stati invitati, o in un luogo dove si sperava di essere anche noi, può avere un impatto negativo sull’autostima e sul benessere emotivo.
Inoltre, esistono anche rischi concreti per la sicurezza. La condivisione non è priva di pericoli, specialmente quando i dati finiscono nelle mani sbagliate. Stalking, molestie o comportamenti predatori possono essere facilitati dall’accesso alla posizione in tempo reale, soprattutto in contesti di relazioni tossiche o poco sane.
Ragazze più soggette dei ragazzi
Secondo il sondaggio pubblicato da Life360 – applicazione per smartphone che consente la condivisione della posizione in tempo reale con amici e familiari – il 70% delle ragazze della Gen Z ritiene che la geolocalizzazione contribuisca a tutelare la lori incolumità. Attivando la localizzazione durante le uscite notturne o in zone considerate poco raccomandabili, le giovani si sentono più sicure nel far sapere ai loro conoscenti dove si trovano. Molte adolescenti però hanno anche affermato di condividere la loro posizione per rafforzare il legame con le amiche.
Ma questa percezione di sicurezza può trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Seguendo queste logiche, infatti, Groskopf avverte che, in molte relazioni di amicizia o di coppia, la condivisione della posizione potrebbe finire per trasformarsi in una prova di fiducia: "Se mi vuoi bene, fammi vedere dove sei". In realtà, si tratta spesso di forme di ricatto emotivo e controllo mascherate da affetto. "Le ragazze, più inclini ad evitare il conflitto e a gestire le emozioni altrui, tendono a cedere anche quando sentono che qualcosa non va", ha osservato la terapeuta.
Parlare di confini e consenso
Secondo gli esperti, anche la geolocalizzazione, come ogni strumento, può essere utilizzata in modo sano, ma solo a patto che ci siano consenso, rispetto dei limiti e, soprattutto la totale mancanza di senso di colpa qualora si voglia oscurare la propria posizione. Per questo risulta fondamentale parlare apertamente con i ragazzi di questi temi. Non si tratta di proibire, ma di comprendere insieme.
Caswell ha ad esempio consigliato ai genitori di affrontare l’argomento con semplcie curiosità, senza lasciarsiandare a giudizi o sminuendo la brama di connessione perenne che contraddistingue le nuove generazioni: "Chiedete loro perché lo fanno. Per sentirsi al sicuro? Per restare connessi? O perché si sentono in dovere? Capire le motivazioni aiuta a rendere tutto più consapevole". D'altronde, per ai ragazzi a proteggersi online, bisogna prima permettere loro di esercitare i propri limiti. A volte anche nella stessa famiglia. "Lasciate che vi dicano di no, ogni tanto", suggerisce Caswell. "Imparare a porre confini con qualcuno di sicuro li aiuta a farlo anche con chi non lo è".