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Non sono i videogiochi il problema, il vero rischio per l’attenzione dei ragazzi arriva dai social: lo studio

Uno studio su oltre 8.000 bambini ha mostrato come l’uso crescente dei social sia associato a maggiori difficoltà di concentrazione e al boom delle diagnosi di ADHD. Scagionati invece i videogiochi e la TV: il loro utilizzo non sembra influire particolarmente sulle capacità dei piccoli di mantenere l’attenzione.
A cura di Niccolò De Rosa
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La crescente presenza del digitale nella quotidianità infantile sta attirando l'interesse della comunità scientifica, soprattutto in relazione allo sviluppo cognitivo. Una nuova ricerca pubblicata su Pediatrics Open Science ha analizzato in modo sistematico come le abitudini online dei bambini influenzino la capacità di concentrazione negli anni della preadolescenza, scoprendo come la prolungata esposizione ai vari social network possa effettivamente aumentare il rischio di sviluppare un Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD).

Lo studio, condotto dal Karolinska Institutet insieme all'Oregon Health & Science University, ha seguito più di 8.300 bambini tra i 10 e i 14 anni, monitorando il tempo trascorso su videogiochi, piattaforme video e social media e risultati ottenuto hanno dimostrato come non sia tanto la quantità di tempo passata davanti a uno schermo a fare la differenza, quanto il tipo di stimolo offerto. Se infatti guardare video o combattere dei mostri con un joypad rimangono comunque attività che necessitano di un certo focus per rendere l'esperienza appagante, scrollare per ore i feed di un social o immergersi in decine di conversazioni slegate tra di loro potrebbe effettivamente danneggiare la capacità dei ragazzi di mantenere l'attenzione.

Non tutti gli schermi sono uguali

I ricercatori hanno suddiviso le attività digitali in tre categorie: gaming, visione di video (sia tramite la tradizionale TV, che attraverso le piattaforme online, come YouTube) e i social media. Ed è qui che si è registrata la differenza principale. Le ore trascorse a giocare o guardare video non hanno infatti evidenziato alcuna relazione con sintomi legati all'ADHD. L'uso dei social, al contrario, ha mostrato un legame costante e duraturo con il crescente aumento delle difficoltà nel mantenere la concentrazione su un singolo compito. Secondo il dottor Klingberg, la ragione principale di questo fenomeno risiede nel fatto che qualsiasi piattaforma digitale genera distrazioni continue, sotto forma di notifiche e messaggi, che influenzano negativamente l'attenzione dei ragazzi anche quando lo schermo rimane silenzioso. Non serve infatti che arrivi un contenuto: l'attesa stessa di un messaggio funziona come una vera interferenza mentale.

Videogame "scagionati"

Nel corso di un approfondimento pubblicato sul sito The Conversation, Klinberg e il collega Samson Nivins hanno sottolineato come i videogiochi – per anni accusati di essere all’origine di qualsiasi problema o "devianza" tra bambini e adolescenti – non sembrino rappresentare un rischio significativo per l'attenzione. A differenza dei social, infatti, si svolgono in sessioni circoscritte e richiedono una concentrazione continua su un singolo compito.

Effetti ridotti, ma che meritano approfondimenti

I ricercatori hanno chiarito che l’effetto osservato è ridotto a livello individuale e non sufficiente, da solo, a trasformare un bambino con normale capacità di attenzione in un paziente con ADHD. Tuttavia, stando agli autori dello studio, l'impatto di simili dinamiche possono impattare in modo ben più significativo quando riguarda un'intera generazione. Se un incremento collettivo, anche modesto, di poche ore trascorse sui social si mantiene per anni, il numero di diagnosi può crescere in modo rilevante. Il team di Klingberg ha fatto notare come negli Stati Uniti la prevalenza dell'ADHD tra i minori sia già salita dal 9,5% del 2003-2007 all'11,3% tra il 2020 e il 2022.

L'invito degli esperti per regole più efficaci

La ricerca ha anche rilevato come il tempo speso sui social passi, in pochi anni, da una media giornaliera di 30 minuti a oltre due ore e mezza. Molti bambini iniziano poi a utilizzare queste piattaforme ben prima dei 13 anni, soglia minima prevista da TikTok e Instagram. Per questa ragione, gli studiosi hanno sottolineato l'urgenza di adottare linee guida più chiare per le aziende tecnologiche e strumenti di verifica dell'età più rigorosi.

"Ci auguriamo che i nostri risultati aiutino genitori e decisori politici a prendere decisioni consapevoli su un consumo digitale sano che supporti lo sviluppo cognitivo dei bambini", ha affermato Nivins. Un appello che si inserisce in un momento storico in cui l'Australia è diventata la prima nazione a vietare i social agli Under 16 e sempre più Paesi stanno valutando limiti più rigidi per l'accesso dei minori ai contenuti online.

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