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L’uso degli schermi aumenta i pensieri di suicidio nei giovani: “Il problema non è il tempo, ma l’uso compulsivo”

Un cattivo utilizzo di smartphone o tablet è collegato a un aumento dei pensieri suicidari nei ragazzi, tuttavia non è la quantità di tempo trascorsa davanti agli schermi a danneggiare la salute mentale dei più giovani, ma l’uso compulsivo della tecnologia. A rivelarlo è uno studio americano che a che ribadito quanto sia fondamentale un intervento precoce e centrato sul benessere emotivo – e non solo sul controllo dei dispositivi – per aiutare bambini e ragazzi a crescere più serenamente.
A cura di Niccolò De Rosa
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bimbi schermi

Per anni il dibattito sul legame tra salute mentale e tecnologia si è concentrato su un unico indicatore: il tempo trascorso davanti a uno schermo. Ore passate su smartphone, videogiochi o social network sono state spesso considerate una misura diretta del rischio psicologico nei più giovani. Ma un nuovo studio americano sembra ribaltare questa convinzione: non è il numero di ore a fare la differenza, bensì la qualità e soprattutto la natura del rapporto che i bambini instaurano con la tecnologia. E se tale rapporto risulta eccessivamente squilibrato, le conseguenze possono essere molto pesanti.

La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica JAMA, ha infatti mostrato come l'uso di smartphone, tablet o computer sembra effettivamente essere connesso con un aumento dei pensieri di suicidio nei ragazzi. Tuttavia a causare questa inquietante correlazione non sarebbe la quantità di tempo passata davanti agli schermi, ma l'utilizzo compulsivo di tali strumenti.

A fare danni non è il tempo, ma l'ossessione

Il team di ricercatori ha seguito oltre 4.000 bambini americani, a partire dai 10 anni d’età, monitorando nel tempo il loro uso di dispositivi digitali e lo stato di salute mentale. Quando, quattro anni dopo, i ragazzi sono stati valutati a 14 anni, i risultati hanno sorpreso molti: i livelli di comportamento suicidario non erano direttamente correlati con la quantità di tempo trascorsa davanti agli schermi. A emergere come fattore cruciale è stato invece l’uso percepito come compulsivo: quei bambini che dichiaravano di sentirsi incapaci di staccarsi dal telefono, o di aver bisogno di usarlo sempre di più, erano due o tre volte più esposti al rischio di ideazione suicidaria o comportamenti autolesivi rispetto ai coetanei. E questo accadeva anche se, in termini assoluti, trascorrevano meno tempo online rispetto ad altri ragazzi che invece non mostravano tali segnali di disagio psicologico.

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"Questo il primo studio a dimostrare che l’elemento determinante non è la durata dell’esposizione agli schermi, ma la dipendenza che si sviluppa" ha spiegato Yunyu Xiao, professoressa di psichiatria e scienze della salute pubblica al Weill Cornell Medical College e prima autrice dello studio.

Un cervello ancora in costruzione

La difficoltà nel regolare un comportamento compulsivo è particolarmente accentuata nell’infanzia e nella prima adolescenza. In questa fase della vita, infatti, il cervello – in particolare la corteccia prefrontale, responsabile del controllo degli impulsi – è ancora in pieno sviluppo. Questo rende i bambini e gli adolescenti più vulnerabili alle dinamiche di dipendenza, non solo da sostanze, ma anche da stimoli digitali come notifiche, premi virtuali e scroll infiniti.

Meglio il sostegno che la punizione

Di fronte a questi dati, la raccomandazione degli esperti è chiara: non basta togliere il telefono ai figli per proteggerli. Anzi, un divieto drastico e non accompagnato da una presa in carico emotiva può generare ulteriore conflitto all’interno della famiglia, peggiorando la situazione. Come sottolinea la professoressa Xiao, "in presenza di segnali precoci è fondamentale chiedere aiuto professionale, perché non sappiamo se il semplice ritiro del dispositivo sia efficace. In alcuni casi può addirittura aumentare il disagio".

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Le terapie cognitive comportamentali, già utilizzate con successo nel trattamento delle dipendenze, sono considerate un approccio utile anche in questi casi. L’intervento deve essere precoce, mirato e centrato sul bambino, non solo sul mezzo tecnologico.

Non tutti gli schermi sono uguali

Secondo Amy Orben, direttrice del Digital Mental Health Group dell’Università di Cambridge intervenuta sul New York Times, lo studio conferma l’importanza di guardare oltre le cifre: "Il modo in cui i giovani utilizzano la tecnologia e ciò che provano durante l’uso conta molto più del tempo trascorso online" ha affermato.  L’analisi suggerisce inoltre che la vulnerabilità potrebbe avere radici più profonde, legate alla capacità di autocontrollo e alla regolazione emotiva. E in un contesto in cui quasi la metà dei bambini mostra segnali di uso problematico del cellulare, è fondamentale affrontare il tema con consapevolezza e strumenti adeguati.

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