Il grande errore dei genitori? Volere chi i figli siano sempre felici: l’avvertimento della psicologa

Ogni genitore conosce bene l’istinto di correre in soccorso del proprio figlio quando è triste, frustrato o arrabbiato. La tentazione di consolarlo subito, di cancellare il problema o di trovare una soluzione al posto suo sembra quasi naturale. Eppure, secondo la psicologa clinica statunitense Becky Kennedy, questo atteggiamento, se ripetuto nel tempo, rischia di fare più male che bene. In un articolo pubblicato sulla CNBC, l’esperta ha sottolineato come la vera funzione del genitore non sia eliminare ogni ostacolo o garantire la felicità costante dei figli, ma accompagnarli nel difficile compito di imparare a gestire emozioni complesse e a costruire resilienza.
Per Kennedy, madre di tre bambini e autrice di un podcast, sarebbe dunque il tempo di ripensare al ruolo educativo non come a quello di un "supereroe" (o, nei casi estremi, uno "spazzaneve" che rimuove ogni ostacolo), bensì come a una presenza stabile e rassicurante, capace di ascoltare senza sostituirsi.
Imparare dalle difficoltà
Kennedy invita a considerare le emozioni negative dei figli come un passaggio inevitabile nel processo di crescita. Rabbia, frustrazione o tristezza non sono segnali di fallimento, ma occasioni di apprendimento. "Un genitore non deve rendere il figlio felice né spianargli ogni strada", ha spiegato. La sfida consiste piuttosto nel riuscire a vedere, proprio nei momenti più complicati, "una versione più capace del bambino di quella che lui stesso riesce a percepire".
La fatica come parte del processo
I bambini imparano anche – anzi, forse soprattutto – sbagliando, arrabbiandosi o dichiarando di non farcela. Sono fasi normali e necessarie: sottrarre loro queste esperienze, provando a risolvere ogni problema, significa privarli della possibilità di sviluppare autonomia. Per evidenziare tale concetto, Kennedy ha riportato l'esempio dei compiti di matematica: di fronte a un esercizio difficile, il genitore dovrebbe riconoscere la difficoltà, restare vicino, ma incoraggiare il figlio a cercare da solo la soluzione. Dire frasi come "hai ragione, questo è complicato, ma sono sicuro che puoi riuscirci" rafforza il senso di autoefficacia, cioè la convinzione di potercela fare con le proprie forze.

Empatia e fermezza
Anziché affannarsi a ridurre al minimo i turbamenti dei propri fanciulli, l'approccio suggerito dalla psicologa è quello di un ascolto empatico unito a una fermezza rassicurante, validando le emozioni del bambino senza arrendersi alle sue richieste immediate. Questo lo aiuterà a regolare la propria frustrazione e lo preparerà alle sfide della vita.
Dopotutto, conclude Hennedy, seguire questi principi non significa rendere la vita più facile né per i figli né per i genitori. Abbandonare l’abitudine di cedere a lacrime o capricci richiede tempo e coerenza ma i risultati, presto o tardi, arrivano: i bambini imparano a recuperare più rapidamente l’equilibrio emotivo, si affidano meno alle rassicurazioni esterne e rafforzano il proprio dialogo interiore. "Le parole che rivolgiamo ai nostri figli diventano le parole che loro useranno con se stessi", ricorda la psicologa. Un genitore che sa dire "sei un bambino che può affrontare le cose difficili" non sta solo offrendo conforto, ma contribuisce a costruire la voce interiore di un futuro adulto capace di affrontare il mondo con fiducia.