Il gender gap che non muore mai: anche quando guadagna di più, è sempre la madre ad occuparsi della famiglia

Nonostante anni di battaglie per la parità e i progressi compiuti dalle donne nel mondo del lavoro, la lotta al gender gap sembra essersi fermata a metà strada. In quasi tutti i Paesi occidentali cresce il numero di madri che lavorano a tempo pieno e contribuiscono in modo significativo al reddito familiare, Italia inclusa, dove però, come rileva il rapporto CNEL-ISTAT del marzo 2025, l'occupazione femminile resta ancora sotto la media europea. Eppure, tra le mura domestiche, la distribuzione dei compiti – soprattutto quelli meno visibili – continua a essere profondamente sbilanciata. Non si tratta solo di chi lava i piatti o porta fuori la spazzatura. Il divario di genere più persistente oggi riguarda il carico mentale, quell'attività continua – e spesso invisibile – di pianificazione, organizzazione e monitoraggio che permette a una famiglia di funzionare.
A ribadirlo è una recente ricerca australiana che ha analizzato come il lavoro invisibile si distribuisca nelle famiglie eterosessuali, mettendo in luce una verità scomoda: anche quando le madri lavorano a tempo pieno o guadagnano più dei loro partner, la gestione mentale della casa resta quasi interamente sulle loro spalle. Tre delle firme che hanno partecipato alla stesura della ricerca – Leah Ruppanner (Università di Melbourne), Ana Catalano Weeks e Helen Kowalewska (entrambe dell'Università di Bath) – hanno spiegato i risultati raccolti sul sito The Conversation, mostrando come la parità economica o professionale non si traduca automaticamente in una parità nella sfera domestica. Il lavoro di "pensiero" – ricordare, organizzare, pianificare – rimane ancora oggi una responsabilità prevalentemente femminile, difficile da condividere o delegare.
Il lavoro che non si vede e il ruolo della donna
Il carico mentale comprende tutto ciò che precede le azioni pratiche: pensare ai pasti, ricordare visite e scadenze, organizzare gli spostamenti per le attività extrascolastiche dei figli, gestire gli imprevisti, anticipare bisogni. È un lavoro continuo, privo di orari, che difficilmente si può delegare, se non all'altro membro della coppia (quando c'è). Analizzando oltre duemila coppie eterosessuali statunitensi, le ricercatrici hanno individuato 21 attività domestiche e chiesto chi se ne occupasse principalmente. Le madri hanno dichiarato di essere responsabili del 67% in più dei compiti rispetto ai padri, soprattutto quelli più ricorrenti e urgenti, dalla gestione del ménage familiare alla cura dei figli.

Certo, gli uomini partecipano di più rispetto al passato, ma raramente assumono la responsabilità ultima delle cose da fare. Una differenza sostanziale, perché chi è responsabile deve ricordare, anticipare e rispondere – ai figli, al partner, e, soprattutto, a se stessa – se qualcosa va storto. Gli uomini, spiegano le autrici, si concentrano su attività più sporadiche e spesso riconducibili alla sfera dei "compiti maschili", come pagare le bollette, portare l'auto a riparare o controllare il rubinetto che perde. Le madri però restano le "registe" delle incombenze quotidiane. "Essere responsabili significa non potersi mai disconnettere", osservano le ricercatrici nella loro spiegazione.
Quando guadagnare non basta
Negli anni passati una delle tesi più comuni a favore dell'emancipazione femminili predicava il fatto che la possibilità di accedere a posizioni lavorative più prestigiose e ottenere salari più equi avrebbe contribuito a riequilibrare la situazione anche tra le mura domestiche. Stando allo studio australiano però, le madri che lavorano o guadagnano di più riducono le ore di lavoro domestico fisico, ma non il carico mentale. È ciò che le studiose definiscono gendered cognitive stickiness, una "viscosità cognitiva di genere" che fa sì che la gestione della casa resti comunque "appiccicata" alle madri, indipendentemente dal contributo economico al bilancio familiare. Anche nei casi in cui i partner hanno redditi alti, il loro contributo cresce solo in parte. I più benestanti dichiarano un coinvolgimento maggiore del 17% nelle attività organizzative, ma il divario complessivo resta.
La parità che si ferma alla porta di casa
Il carico mentale, spiegano Ruppanner, Weeks e Kowalewska, sembra quindi impossibile da appaltare perché "vive nella mente e diventa visibile solo quando qualcosa si inceppa". Secondo le studiose, l’uguaglianza tra uomini e donne ha raggiunto un punto di stallo: all'aumento della partecipazione femminile al lavoro non è corrisposto un analogo impegno maschile nel lavoro domestico, soprattutto in quello mentale. Le conseguenze si misurano in stress, stanchezza e povertà di tempo, che penalizzano soprattutto le madri. "Finché la cura sarà considerata una responsabilità naturale delle donne, il carico mentale continuerà a ricadere su di loro", concludono le autrici. Riconoscerlo appare dunque il primo passo per ridistribuirlo. Perché la vera parità non si misura solo in busta paga, ma anche in chi si ricorda che domani serve il costume per la lezione di nuoto dei bambini.