Il CEO di OpenAI non immagina di crescere un figlio senza ChatGPT, ma c’è un limite da non superare

"Non riesco a immaginare come avrei potuto capire come crescere un neonato senza ChatGPT". Nel corso di una recente ospitata al Tonight Show di Jimmy Fallon, il CEO di OpenAI, Sam Altman, ha spiegato così il suo rapporto quotidiano con il chatbot sviluppato dall'azienda che dirige, sottolineando come l'intelligenza artificiale sia diventata per lui un sostegno imprescindibile nella vita da neo-genitore.
Altman ha infatti spiegato di aver usato ChatGPT per rispondere a tutti quei dubbi che assalgono un papà alla prime armi. Perché il bambino continua a far cadere gli oggetti per terra? Cosa significa quando fa versi nel sonno? E per quale motivo non ha ancora imparato a gattonare dopo sei mesi? A simili domande, il chatbot ha sempre risposto in modo chiaro e puntuale, imparando a "conoscere" l'utente e restituendo consigli sempre più personalizzati nel corso del tempo.
Insomma, l'intelligenza artificiale sembra proprio poter diventare un assistente super-efficiente, in grado di supportare la crescita dei piccoli e liberare mamme e papà di qualche preoccupazione di troppo. Non tutti però sembrano condividere la disinvoltura con cui Altman si rivolge a ChatGPT per risolvere le questioni relative allo sviluppo psicofisico dei bambini. Anzi, alcuni studi recenti ricordano che affidarsi completamente all'IA, dando per scontato che abbia sempre ragione, potrebbe nascondere insidie che, invece, sarebbe bene tenere sempre in considerazione.

Il lato nascosto: l'inaffidabilità dei chatbot
Il problema principale sollevato da diversi esperti è che questa sicurezza quasi fideistica nell'IA può risultare ingannevole. Una ricerca del 2024 condotta dalla University of Kansas (ne avevamo parlato qui) ha per esempio evidenziato la pericolosa tendenza da parte di un gruppo di genitori a rivolgersi prima a ChatGPT che al pediatra, anche quando le domande riguardavano proprio la salute dei figli. In un esperimento contenuto nello stesso studio, molti partecipanti avevano perfino faticato a distinguere il consiglio di un professionista da quello (non verificato) generato dal chatbot. Un dato che si aggiunge a un’altra statistica non irrilevante: secondo un'analisi compiuta nel 2024 dalla Purdue University, il 52% delle risposte fornite dall'IA su temi sanitari risultavano ancora scorrette o quantomeno incomplete.
Il grande rischio di disumanizzare la cura dei figli
Un simile comportamento impone dunque una seria riflessione non solo sulla necessità di sottoporre i modelli linguistici alla supervisione di professionisti per tutto ciò che riguarda le informazioni sulla salute infantile, ma sul fatto che questo mal riposto senso di sicurezza ("l'ha detto ChatGPT, quindi è vero") potrebbe indebolire o, in certi casi, atrofizzare del tutto un elemento fondamentale che, pur attraverso errori e inciampi, ha sempre permesso a mamme e papà di accudire i propri pargoli: l'intuito genitoriale.
Riconoscere segnali, sfumature, variazioni nei comportamenti dei figli è infatti un esercizio costante, lento, profondamente umano, che viene allenato con il tempo e i consigli di professionisti che conoscono la storia clinica del singolo bambino e sanno fornire indicazioni "cucite su misura". Tutti aspetti che, almeno per il momento, nemmeno il più performante dei chatbot riesce ad eguagliare. La qualità dell'attenzione è insomma la prima forma di cura e delegarla a una macchina potrebbe comportare la perdita di un pezzo del rapporto con il proprio bambino.
Sì al supporto, no alla sostituzione
Nessuno nega che l’AI possa rappresentare un aiuto prezioso. Altman stesso testimonia quanto possa essere utile nei momenti di panico improvviso (Altman ha raccontato di essersi preoccupato perché suo figlio non gattonava come i suoi coetanei), quando un'informazione, anche molto semplice, può restituire un po' di tranquillità. Tra supporto e sostituzione corre però una linea sottile che è bene non superare. Se dalla scuola comunicano che il bambino sembra perdere l'appetito, l'IA può fornire ipotesi sulle possibili cause, ma non può effettuare una diagnosi precisa. E soprattutto non può conoscere il bambino come lo conoscono i suoi genitori. Magari il bimbo è semplicemente triste per qualcosa accaduto in classe o non gradisce alcuni alimenti presenti nel piatto del giorno. Queste cose appartengono alla realtà quotidiana vissuta in famiglia e non possono essere elaborate da una macchina.
Certo, nessun genitore può farcela da solo, ma in questo la rete di affetti e professionisti gioca un ruolo fondamentale. L'idea che un chatbot possa soppiantare tutto ciò e diventare il pilastro principale dell'esperienza genitoriale appare, oggi, più una scorciatoia emotiva che una soluzione reale. L'intelligenza artificiale ha già cambiato la vita quotidiana di milioni di persone e continuerà a farlo. Può alleggerire, chiarire, rassicurare. Ma la cura di un bambino nasce altrove, nel desiderio di accudimento, nella presenza fisica ed emotiva, nonché nella capacità di costruire un legame che nessun algoritmo potrà mai replicare.